venerdì 31 dicembre 2010

Il proprio patrimonio dei titoli in borsa

Dopo il 1989, i mercati statunitensi sovraperformarono notevolmente quelli esteri, sia a causa della prolungata debolezza registrata dal mercato giapponese dopo ti 1989 sia in virtù della forza che avevano raggiunto. Non si può supporre che l'andamento prosegua inalterato nel tempo, ma fornisce un'indicazione del potenziale in termini di divergenza.
Sono due le ragioni principali per investire nei mercati internazionali: opportunità e diversificazione. Il punto di partenza naturale, secondo una prospettiva da manuale, sarebbe quello del mercato globale, prestando la dovuta attenzione alla possi¬bilità di coprire i! rischio di cambio. Non vi è dubbio che un approccio globale all'investimento dovrebbe risultare adeguato per tutti gli investitori azionati, ma non si può neppure escludere che siano adeguati anche approcci orientati al mercato nazionale.
Dunque, se investendo nel mercato nazionale l'investitore rie¬sce a ottenere la giusta diversificazione (confrontata con il benchmark globale degli investimenti), allora gli investimenti nel mercato internazionale potrebbero diventare un'opportunità, più che una necessità, per costruire un portafoglio equilibrato.
Chiaramente il punto di vista cambia da paese a paese. Gli Stati Uniti rientrerebbero nel caso per cui l'investimento internazionale è un'opportunità piuttosto che un requisito vero e proprio per la diversificazione. Anche se per gli stessi inve¬stitori statunitensi non mancano i vantarsi in termini di diversificazione che potrebbero derivare da un investimento in azioni internazionali.
Il modo più semplice per verifìcare quali siano i vantaggi della diversificazione internazionale in titoli azionari consiste nell'esaminare in che termini questa scelta incide sul rischio di investimento azionario calcolato, ricorrendo al calcolo convenzionale del rischio: ovvero volatilità e deviazione standard dei rendimenti (tecnicamente si tratta di un metodo appropriato unicamente per gli investitori aggi essivi a breve termine che abbiano investito il 100% in azioni.

Il patriottismo borsistico e la diversificazione internazionale

Gli investitori in azioni di qualsiasi paese sono fortemente orientati verso gli investimenti nazionali (home country bias). Le ragioni di questo fenomeno sono state oggetto di numerosi di¬battiti. Qualsiasi cenno al fatto che le azioni nazionali permettano di adempiere più agevolmente agli obblighi valutati nazionali incide ben poco. La misura appropriata dello squilibrio (mismatch) è data dal grado in cui le attività rischiose (quali titoli azionari nazionali o esteri) sono correlate a quelle esenti da rischi, che nel caso di un investitore a lungo termine sono rappresentate dai titoli di stato indicizzati all'inflazione. Sebbene le azioni nazionali possano correlarsi meglio ai titoli di stato nazionali rispetto alle azioni internazionali, non costituiscono di fatto un'attività di tipo safe haven adatta a un investimento a lungo termine. A spiegare gli orientamenti a favore dei mercati nazionali vi sono la familiarità e l'abitudine, così come l'errata interpretazione del contributo del rischio valutario. In molti paesi questo patriottismo borsistico è una questione fondamentale della gestione del rischio. Tuttavia, la dimensione e la portata del mercato statunitense dimostrano che gli investitori con un portafoglio ben diversificato in azioni USA avrebbero già ottenuto buona parte degli utili da diversificazione offerti da un approccio globale all'investimento. Sebbe¬ne gli investitori statunitensi possano realizzare ulteriori utili da diversificazione investendo in titoli internazionali, il contributo, derivante da tali guadagni, in termini di efficienza non è altrettanto ampio quanto per gli investitori in altri paesi (lo stesso può essere detto per il mercato azionario paneuropeo: a fine 2005, secondo i dati Citigroup, il mercato aziona¬rio statunitense rappresentava il 47% di quello globale, mentre l'Europa ne costituiva il 27%).
Spesso la diversificazione per area geografica non costituisce il problema più serio da affrontare in fase di predisposizione della strategia d'investimento. In altre parole, in molti paesi le questioni inerenti alla diversificazione azionaria internazionale sono di gran lunga più rilevanti per i suoi investitori di quanto non lo siano per quelli statunitensi. Ad esempio, nel caso degli investitori con un'esposizione azionaria ben diversificata unicamente in titoli azionari USA, i possibili vantaggi di riduzione del rischio, legati alla diversificazione in azioni internazionali non USA, sarebbero irrisori rispetto al potenziale rischio assunto nel caso in cui la scadenza degli investimenti a reddito fìsso non fosse allineata con l'orizzonte temporale dell'investitore. Un tema ricorrente di questo libro è che la strategia d'investimento dovrebbe essere adeguata, almeno a grandi linee, agli obiettivi dell'investitore, alla sua tolleranza al rischio e alle sue preferenze. Salvo che, nel caso dei portafogli azionari di tipo cash flow matching, la precisione nell'individuazione della strategia adeguata è mera utopia. L'investimento sui mercati internazionali è un'area in cui è spesso difficile distinguere le diverse opinioni sulle strategie all'interno dell'elevato numero di strategie d'investimento adeguate. Ciò nonostante, la differenza diventa notevole se si considerano i dati sulle performance. Il che lascia spazio a una certa flessibilità, che permette che le preferenze "più viscerali" dell'investitore influenzino legittimamente la sua politica. E quindi essenziale che i consulenti comprendano quando le considerazioni sul rischio rappresentano una guida chiara su che cosa sia oppor¬tuno o meno per un dato investitore. Nell'ambito degli investimenti sui mercati internazionali esiste una gamma di strategie diversificate adeguate, ragion per cui sarebbe inopportuno suggerire che ve ne sia una in particolare chiaramente superiore ad altre. Ad esempio, i vantaggi derivanti dalla diversificazione degli investimenti internazionali sono sempre esposti al rischio di ottenere rendimenti minori. Fare qualche piccolo investimento internazionale avvicinerebbe di molto l'investitore a quella che verrebbe considerata una strategia "ottimale".

giovedì 30 dicembre 2010

Gli investitori prudenti dovrebbero sovrappesare le azioni value?

Numerosi calcoli hanno dimostrato che nell'arco di periodi lunghi i value stock sovraperformano i growth "stock. Ciò nonostante, con la determinazione tradizionale del rischio, ovvero attraverso la volatilità dei rendimenti, com-plessivamente i value stock appaiono "più sicuri" o almeno "meno rischiosi" dei growth stock. Tuttavia, gli investitori che desiderano modificare i loro investimenti per approfittare di questa possibilità dovranno essere certi di poter sopportare potenziali periodi prolungati di under-performance rispetto al mercato e agli altri investitori. Alla fine degli anni '90, i growth stock sovraperformarono i value stock di oltre il 60% in soli due anni, andamento che si invertì nei 18 mesi successivi. Sono pochi gli investitori che ritengono di poter sopportare il peso di trovarsi dalla parte sbagliata di queste fluttuazioni, senza correre il rischio di reagire in modo errato e dannoso. Come attualmente riconoscono molti investitori in azioni, il mantenimento dell'equilibrio è un prerequisito per dormire sonni tranquilli. Nel frattempo, le possibili spiegazioni in termini di rischio della sovraperformance sia del valore, come stile di investimento azionario, sia delle azioni di società di piccole dimensioni mettono in dubbio l'adeguatezza di uno spostamento dei portafogli degli investitori prudenti a favore dei titoli value (o small cap). Tutto ciò rafforza la correttezza di un approccio agli investimenti che abbracci tutto il mercato. Di conseguenza, la sovraponderazione del valore come stile e delle azioni di società di più piccole dimensioni diventa un metodo adeguato soprattutto per gli investitori più aggressivi.

Attenzione allo stile

La vulnerabilità vera e propria dei value manager, fiancheggiatori per così dire dei "corsi e ricorsi storici", è rappresentata dai cambiamenti nei rapporti macroeconomici a lungo termine. Secondo Sir John Templeton, noto investitore di successo, per un value investor "le quattro parole più pericolose di un investimento sono: questa volta è diverso". A volte, però, soprattutto dal punto di vista delle singole società, le cose sono davvero diverse, sia nel bene che nel male. Sin dai primi anni '90, molti value manager internazionali sostenevano che il mercato azionario statunitense fosse sopravvalutato, anticipandone largamente underperformance rispetto ai mercati internazionali, che si concretizzò dopo il 2000. Alla base di quella valutazione errata vi era il fatto che non si compresero e quindi non si riuscirono a prevedere né la trasformazione dell'economia statunitense degli anni '90 né tanto meno il conseguente effetto sull'andamento futuro di migliaia di società statunitensi. I growth manager, invece, tendono a sfruttare questa opportunità seguendo il detto "i value manager guardano al passato, mentre i growth managergua.rda.no al futuro". Gli elementi cardine della ricerca di nuove opportunità d'investimento e della comprensione delle prospettive aziendali dei growth manager sono le analisi del cambiamento tecnologico e commerciale e il modo in cui questo può incidere sulle prospettive di guadagno delle singole imprese (società private comprese). Ecco perché il portafoglio di un growth manager si compone di una vasta gamma di queste prospettive d'investimento.
Elemento cruciale per qualsiasi gestore è il momento in cui procedere alla vendita di una posizione d'investimento redditizia. Nel caso di un value manager, la decisione sarà notevolmente più intuitiva di quanto non lo sia per un growth manager, con la probabilità che il primo possa cedere un investimento redditizio "troppo presto", mentre il secondo potrebbe essere propenso a vendere troppo tardi. Questo contribuisce a far luce su alcuni rischi diversi che vengono affrontati dai value manager, dai growth manager z dai loro clienti.

Dividendi azionari per investitori prudenti

Gli investitori prudenti dovrebbero seguire strategie altrettanto caute. Nella misura in cui la prudenza permette loro di de¬tenere una quota di investimenti borsistici, il rischio azionario non dovrebbe essere ingigantito seguendo un approccio non diversificato. Concentrandosi sul dividentiyield (rendimento azionario) è facile che si amplifichi il rischio. Nel tentativo di descrivere i pericoli legati al "peccato di ambire al rendimento" sia nei mercati a reddito fìsso che in quelli azionari, Robert Fry, nel suo libro Non-Profit Investment Policies, giunge alla conclusione che "tipicamente, i risultati oscillano fra il negativo e il disastroso". Lo svantaggio legato al fatto di fare affidamento su un portafoglio azionario come reddito essenziale è che non sarà in grado di offrire la garanzia tipica, invece, dei titoli di stato. E una fonte di reddito molto meno sicura. Inoltre, le azioni ad alto dividenti potrebbero rivelarsi particolarmente vulnerabili a eventuali andamenti negativi in termini di crescita degli utili e di dividendi a causa di situazioni specifiche dell'impresa o in generale dell'economia. Tuttavia, la rapida crescita dei dividendi distribuiti dalle società statunitensi dopo la riduzione della pressione fiscale del 2003, suggerisce che le strategie azionarie orientate al reddito svolgeranno un ruolo chiave negli anni a venire. Infine, si raccomanda di valutare con scetticismo qualsiasi suggerimento secondo il quale gli investimenti in azioni che fruttando dividendi (dividend-paying equities) rappresentereb¬bero una strategia di investimento sana, capace di generare un reddito crescente e un accumulo di capitale sicuro. Un investitore aggressivo bisognoso di reddito potrebbe porre l'accento su azioni ad alto rendimento e su investimenti a reddito fisso. Per l'investitore prudente, invece, tale orientamento dovrebbe essere contenuto. Una strategia di questo tipo non può essere considerata una soluzione magica per situazioni finanziarie caratterizzate da una certa ristrettezza.

Chi dovrebbe investire in CDO?

Nessuno ha bisogno di investire in CDO e nessuno dovrebbe investire in strumenti finanziari a meno che non sia sicuro o si avvalga del consiglio di un consulente fidato che sia certo di comprendere e di poter monitorare i rischi e le potenziali ricompense legate a un'operazione di questo tipo. Questo significa che è necessario capire le problematiche correlate al pricing delle CDO e, in particolare, alle diverse franche di una CDO. La differenza nell'esposizione al rischio delle diverse tranche implica che una dichiarazione generica relativa al rischio di
una CDO è comunque inappropriata. I risk manager sottolineano che il rischio atteso si concentra sulle equity tranche e che quello inaspettato e il pericolo di sviluppi inattesi sono invece concentrati sulle senior tranche a minor rendimento, predisposte per soddisfare i criteri effettivi o attesi delle agenzie di rating.
Nel momento in cui si materializza il rischio inatteso, questo porta comunemente a un downgra.de (declassamento) da parte delle agenzie di rating delle tranche della CDO. Gli investitori che le abbiano utilizzate come strumento per eludere il divieto di investire in attività di tipo sub-investment grade dovranno dunque verifìcare la probabilità di tale declassamento, laddove tutti gli investitori dovranno essere rassicurati del fatto che questi rischi siano sufficientemente rispecchiati nel rendimento offerto dalle tranche della CDO.
Gli investitori dovrebbero dunque saper rispondere ad alcune domande standard prima di affidare il proprio denaro a un gestore di CDO. Come avviene con qtialsiasi tipo accordo sulla gestione di un investimento, dovranno conoscere il profilo del gestore e la sua esperienza in termini di gestione di un pool di attività come quelle rappresentate da CDO. Analogamente, dovranno conoscere i rischi delle attività sottostanti, sapere se questi potranno cambiare nonché essere a conoscenza della leva introdotta nelle diverse tranche dalla struttura della CDO. Dovranno altresì imparare a comprendere il processo di rimborso, la valutazione delle attività sottostanti e le fonti di liquidità o illiquidità. Uno degli elementi appetibili delle CDO sintetiche è rappresentato dalla grande liquidità del mercato dei derivati di credito. I gestori delle CDO devono essere in grado di rispecchiare questo aspetto nelle condizioni offerte agli investitori.
A loro volta gli investitori dovranno accertarsi che gli aspetti operativi delle CDO siano ben definiti. Il mercato dei derivati del credito ha fatto registrare, nel corso della propria storia, considerevoli ritardi nel regolamento delle operazioni. Per tale ragione è opportuno che gli investitori si accertino che non si tratta di una fonte potenziale di turbativa per il proprio gestore.

mercoledì 29 dicembre 2010

Non lasciatevi trasportare dallo stile

I gestori di investimenti azionari seguono approcci e filosofie particolari che conducono a stili di investimento diversi. Le caratteristiche che li sottendono sono innate, come le convin¬zioni personali dalle quali scaturiscono. E dunque fondamentale che gli investitori conoscano e comprendano tali differenze: questo permetterà loro di rendersi conto che alcuni ap¬procci sono più appetibili di altri, semplicemente perché si addicono di più alla loro persona. Al tempo stesso, però, gli investitori devono far sì che tali preferenze non siano pregiudizievoli o comportino distorsioni di rischio inconsapevoli che possono minare la strategia d'investimento. In termini filosofici possiamo dire che value manager e growth manager sono soggetti ben distinti tra loro. I primi hanno in comune il fatto di ritenere che i mercati reagiscano esageratamente e ripetutamente man mano che l'entusiasmo o l'allarmismo degli investitori si allontana dalla realtà dell'investimento. In altre parole, potremmo definire i value manager un po' come i "bastian contrari" del mercato, che tendono a fare virtù dell'iniplementazione di decisioni d'investimento controcorrente. Le loro analisi suggeriscono che i prezzi di merca¬to oscillano intorno ai valori equi e che è altamente improbabile che si verifìchi un evento ritenuto probabile da tutti. I value manager cercheranno quindi di convincere i propri clienti che serve pazienza e che alla fine la strategia seguita sarà debitamente ricompensata. In pratica, i clienti vengono attirati dall'ottima recente performance registrata dai value manager. Quando ciò accade, il value manager dovrebbe avvertire che tale performance non può essere sostenuta a oltranza e che potrebbero profilarsi tempi diffìcili.

Small cap e large cap

All'inizio degli anni '80, Rolf Banz pubblicò una ricerca in¬centrata sulla performance eccezionalmente migliore registrata dalle piccole imprese rispetto a quelle di grandi dimensioni. Da allora l'indagine è stata proposta a più riprese per paesi quali Stati Uniti, Regno Unito e altri, evidenziando uno sche¬ma generale secondo cui le società di piccolissime dimensioni, le cosiddette "microimprese", performerebbero meglio rispet¬to a quelle di piccole dimensioni, le quali a loro volta a livello di rendimenti supererebbero quelle di grandi dimensioni. La sovraperformance storica delle piccole imprese è nota come "effetto small cap" o "anomalia da small cap", in quanto pur tendendo a essere più volatili delle grandi società, il loro grado di sovraperformance non può essere spiegato attraverso il modello semplificato CAPM originale.
E possibile cogliere il senso di questa sorta di "anomalia" esaminando l'andamento storico delle società a bassa e alta capitalizzazione.

Costruire il portafoglio di famiglia considerando le anomalie del mercato azionario

Fra le debolezze del CAPM si annovera il fatto, ormai generalmente accettato, che la teoria originaria semplificata non spiega del tutto lo schema di performance delle diverse azioni. Le azioni di tipo loiv beta, ad esempio, con un'esposizione apparentemente ridotta ai mercati, non sottoperformano sistematicamente il mercato azionario come suggeriva in origine la teoria. Inoltre, le azioni con una capitalizzazione di mercato minore, unitamente ad alcune value stock (titoli con prezzi convenienti rispetto ai fondamenatali), hanno dimostrato che performance superiori, apparentemente persistenti, risultano in realtà incoerenti con le versioni più semplici della teoria. Sono quindi due le possibili spiegazioni di questo fenomeno.
I modelli rispecchiano l'impatto sui prezzi di mercato del comportamento irrazionale degli investitori (quali manie e mode), nonché la preoccupazione di possedere azioni ap-partenenti a società "in buone condizioni" e, conseguentemente, di evitare i titoli peggiori (come gli underperformer storici). Se così fosse, le anomalie scomparirebbero unicamente laddove il peso dell'investimento a lungo termine fosse in grado di riconoscere il comportamento irrazionale degli altri investitori, inducendo invece quelli "razionali" a far sì che i propri portafogli traggano profitto da tali anomalie. Questo implicherebbe un aumento dei prezzi per i quali era stata prevista una sovraperformance e una depressione dei titoli presunti perdenti. Se un numero sufficiente di investitori rispondesse in questo modo, scomparirebbero le anomalie. Se invece persistono, gli investitori "informati", consapevoli di tali anomalie, dovrebbero adeguare i propri portafogli in modo da trame profìtto. • Le vecchie misure associate all'assunzione di rischio potrebbero essere errate. Se ciò fosse vero, coloro che cercano di sfruttare le anomalie starebbero semplicemente aumentan¬do la propria assunzione di rischio. Le small cap, ad esempio, e alcune categorie di value stock potrebbero essere più rischiose di quanto non sembri. Se così fosse, potrebbe risultare razionale che siano negoziate a un prezzo scontato per permettere che una performance superiore rispecchi il margine di extra rischio.
Qualora fosse attendibile la prima spiegazione (ovvero che questi gruppi di azioni tendono a essere sottovalutati in termini di prezzo), gli investitori a lungo termine prudenti po¬trebbero aumentare ragionevolmente la propria esposizione verso di essi. Se per contro fosse corretta la seconda spiegazione, una scelta di questo tipo si rivelerebbe inadeguata. È bene sapere che sulla questione gli esperti di finanza non sono giunti a un accordo e che, in caso di incertezza, gli investitori più cauti dovrebbero ragionevolmente agire con prudenza. John Campbell della Harvard University e Tuorno Vuoltee-naho del National Bureau of Economie Research sostengono che il calcolo tradizionale dell'esposizione al rischio di mercato, beta, sia disturbato dalla combinazione di due diverse dimensioni di rischio.
La prima è relativa alla sensibilità di un'azione rispetto al cambiamento del tasso di sconto del mercato. Come illustrato nel primo volume della collana parlando di volatilità "buona" o "cattiva", una flessione del prezzo causata dall'aumento del tasso di sconto di mercato dovrebbe essere recuperata da una performance successiva più rapida. Per un investitore prudente con un orizzonte temporale lungo non è però questo fenomeno la principale causa di preoccupazione. La seconda dimensione del rischio, invece, rappresenta la risposta del corso azionario a un cambiamento nelle previsioni degli utili societari. Tale fenomeno è noto come bad beta, non essendovi alcun meccanismo per garantire il recupero della perdita di performance in risposta alla correzione al ribasso delle previsioni di crescita degli utili.
Recenti studi sull'andamento azionario statunitense dimostrano che le small stock e le value stock sono più sensibili del mercato nel suo insieme alle oscillazioni nelle previsioni di mercato sugli utili (bad beta) rispetto alle growth stock (titoli a forte crescita attesa degli utili) e alle large company stock, che invece risultano più sensibili ai cambiamenti del tasso di sconto di mercato (good beta). Qualsiasi investitore dovrebbe desiderare di percepire un premio (in termini di rendimento aggiuntivo, NdR) per l'assunzione di uri rischio di tipo bad beta, e sembra che in genere questo premio sia effettivamente corri¬sposto agli investitori value e small cap, sebbene non debba essere dato per scontato.

martedì 28 dicembre 2010

Le anomalie del mercato azionario e la teoria del Capital Asset Pricing Model

Nonostante gli straordinari mutamenti, nel XX secolo avrebbe probabilmente potuto sortire effetti positivi un approccio di tipo passivo, basato sul ribilanciamento annuale dei titoli in portafoglio, per investire in azioni statunitensi Tuttavia, molti ri¬cercatori concordano che sarebbe possibile fare di meglio che rispecchiare il mercato azionario complessivo. Alla base di tali posizioni si colloca un'analisi approfondita delle "anomalie" del mercato azionario, che altro non sono che schemi dell'andamento del mercato azionario non conformi alle previsioni della teoria semplificata prevista in origine dal Capital Asset Pricing Model (CAPM) .
La prima versione del CAPM prevedeva che l'andamento di qualsiasi azione dovesse essere il riflesso di due cose: in primo luogo, della misura in cui il titolo deve essere inteso come gea-redo dilutedplay (ovvero, scommessa ampliata o ridotta) sull'intero mercato; in secondo luogo, della misura della volatilità specifica di una società.
Il primo aspetto rappresenta l'esposizione del titolo al rischio sistematico (calcolato dal suo valore "beta") per il quale si presume che gli investitori debbano essere compensati. Un esem-pio di un titolo che rappresenti un gcaredplay sul mercato azionario, ovvero di un titolo di tipo high beta, è quello degli equity money manager il cui reddito da commissione, che ri-specchia gli attivi gestiti, sale e scende in linea con il mercato azionario e la cui redditività è decisamente collegata a tale influenza. Il rischio sistematico non può essere diversificato in un portafoglio azionario.
Il secondo è rappresentato invece dagli "elementi di disturbo", ovvero dal rischio idiosincratico o diversifìcabile. Questo dovrebbe neutralizzarsi in un portafoglio ben diversificato, pur rispecchiando la possibilità che un singolo titolo aziona¬rio, o un portafoglio azionario, performi diversamente dal mercato (o più precisamente dal rendimento di mercato corretto per il beta specifico del titolo).
Il CAPM è stato sottoposto a diversi miglioramenti per rispecchiare le ricerche secondo cui esisterebbero diverse fonti di ri¬schio per un particolare corso azionario, in grado di contribuire a spiegarne l'andamento. Fra tali fattori figurano l'esposizione al tasso d'interesse e al cambio, i dati di bilancio, le informazioni sul reddito e sui dividendi nonché la capitalizzazione aziendale, così come la collocazione industriale e geografica. Conoscere e comprendere queste fonti di rischio può aiutare alla predisposizione del portafoglio azionario, soprattutto se l'investitore reputa che una fonte di rischio specifica possa produrre risultati positivi in futuro. Tuttavia, la filosofìa che si colloca alla base del CAPM - ovvero la divisione del rischio di portafoglio in rischio di mercato non diversifìcabile, sistematico, e in rischio diversificabile, idiosincratico - ha resistito alla prova del tempo. Infatti, offre un quadro estremamente prezioso per comprendere come le attività dei gestori di portafogli possano alterare le esposizioni al rischio sistematico e idiosincratico, incidendo così sull'andamento e sul rischio degli stessi portafogli. Comprendere questa filosofìa, cogliendone altresì i punti di forza e di debolezza, è un aspetto fondamentale dell'interfaccia fra la teoria finanziaria e l'investimento pratico.

L'andamento "irrequieto" del mercato azionario

All'inizio del XX secolo, le azioni delle società ferroviarie rappresentavano il 63% del mercato azionario statunitense, men¬tre solo un secolo dopo si attestavano allo 0,2%. Russia, India e Austria-Ungheria rappresentavano insieme il 25% del mercato azionario globale del 1899 e meno dell'1% a un solo secolo di distanza.
La portata di tali cambiamenti costituisce una sfida estrema per chiunque suggerisca che gli investitori debbano accettare passivamente qualsiasi potenziale cambiamento nel mercato. Il recente aumento e il conseguente declino del peso dei titoli tecnologici, e prima ancora del Giappone negli indici di mercato, suggeriscono la stessa cosa. Su periodi lunghi, un approccio da "pilota automatico" per investire in titoli azionari nazionali e internazionali non risulta affatto credibile. È infatti essenziale che gli investitori sappiano rispondere ai cambiamenti strutturali, ai rischi e alle opportunità che il mercato offre.

Programmi di incentivazione dei dirìgenti d'azienda

I portafogli concentrati nei conti previdenziali a contribuzione definita di cui sopra si distinguono dalle posizioni azionarie concentrate accumulate dai dirigenti, come ricompensa dei traguardi raggiunti, attraverso i piani di incentivazione aziendale.
Le partecipazioni detenute nel piano previdenziale rispecchiano la volontà dei singoli di comprare o detenere le azioni e si differenziano dalle gratifiche percepite dai dirigenti per il raggiungimento di determinati obiettivi. I portafogli azionati concentrati posseduti dai dirigenti rappresentano dunque una partecipazione degli stessi alle attività della società in qualità di dipendenti o di imprenditori. L'esposizione acquisita è finalizzata quindi all'allineamento degli interessi del singolo con quelli della società. Una prospettiva del tutto diversa da quella delle operazioni di risparmio, come la partecipazione a un piano previdenziale.
In un piano di remunerazione azionaria dei dirigenti può essere accumulato un patrimonio considerevole, nel caso in cui il singolo o l'azienda registri dei successi. E a questo punto
che assumono un certo rilievo proprio la gestione patrimoniale e il rischio: due aspetti invece del tutto insignificanti nelle fasi iniziali del processo. Per tale ragione, le preoccupazioni sul miglior modo di gestire una posizione azionaria concentrata dei dirigenti rappresentano un dilemma per così dire invidiabile.
La posizione azionaria di un dirigente è spesso soggetta a limitazioni alla vendita di natura sia formale che informale. Laddove un portafoglio vincolato costituisca una parte sostanziale del patrimonio dell'investitore, il consulente finanziario potrebbe suggerire il ricorso all'assunzione di un prestito contro garanzia di tale portafoglio, per permettere di investire altrove. Qualora la posizione concentrata non sia coperta, l'indebitamento non ridurrà l'assunzione del rischio, ma aumenterà il potenziale di accumulo di ricchezza, ampliando il portafoglio complessivo degli investitori, anche se a costo di una maggiore volatilità. La possibilità di un'improvvisa diminuzione della ricchezza viene aumentata e non diminuita dal prestito contro garanzia di un portafoglio azionario concentrato non protetto e con l'investimento del suo controvalore in un'esposizione diversificata al mercato azionario. Per molti consulenti finanziari è fondamentale fornire assistenza nella gestione delle posizioni azionarie concentrate. Queste rappresentano infatti un'assunzione di rischio fecaliz¬zata, fattore che va preso seriamente in considerazione al mo¬mento dell'allocazione di altri investimenti finanziari. Spesso ciò implica che gli investimenti aggiuntivi adatti a investitori il cui patrimonio finanziario sia dominato da una posizione azionaria concentrata siano rappresentati da partecipazioni in titoli a reddito fìsso di alta qualità, o safe haven (rifugio sicuro), al fine di ancorare almeno una parte della ricchezza nell'orizzonte temporale adatto alle loro esigenze. La stessa regola si applica quando il rischio d'investimento specifico di una società è costituito da un titolo azionario quotato oppure da un'impresa a gestione familiare non quotata. È probabile che gli investimenti finanziari supplementari,presi singolarmente, abbiano un profilo d'investimento prudente, indipendentemente dal fatto che la tolleranza per il rischio dei detentori lo sia o meno. La ragione risiede nel fatto che la loro ricchezza complessiva è dominata dall'esposizione volatile ai titoli azionari della propria attività.