giovedì 20 gennaio 2011

Private equity: rendimenti basati sulle informazioni

La performance passata e futura del mercato del private equity è stata esaminata in maniera approfondita da numerosi studi. Tuttavia, sebbene le stime prodotte in quegli studi siano affidabili, gli investitori non potranno dare per scontato di poterne trarre identici profitti. Gli investitori dovrebbero infatti evitare l'investimento in private equity finché non ritengono di avere accesso a gestori competenti. La chiave per sbloccare i rendimenti del private equity è l'informazione e gli investitori devono essere certi che i loro gestori dispongano del margine che permette loro di generare almeno rendimenti di mercato. Investire in un accordo che non presenta tale margine inevitabilmente condannerà la strategia a una performance inferiore.
La collocazione più adeguata per il private equity nella strategia d'investimento è evidente. Il private equity è ciò che indica. Innanzitutto è equity, quindi capitale azionario e pertanto, se inserito nella strategia, dovrà far parte dell'allocazione in azioni. E poi è private, quindi privato, ovvero non quotato e illiquido e non adatto agli investitori a breve termine. Tutte le osservazioni relative alla diversificazione, in termini di stile, dimensione e geografia, per investire in azioni quotate di cui abbiamo parlato nel primo capitolo possono essere applicate al private equity. Tuttavia, poiché rappresenta solo una parte dell'allocazione dell'investitore in azioni, non è indispensabile che un portafoglio di private equity presenti tutta la diversificazione ottenibile da questo settore, quando questa
può essere ottenuta senza spese e con maggior sicurezza dal mercato azionario quotato.
Ciò che l'investitore deve fare è verificare in maniera spassionata la sua capacità di accedere a gestori competenti per poi procedere all'allocazione (oppure per evitare un'allocazione ove questo sia ritenuto opportuno). Il passo successivo è assicurarsi che l'allocazione totale in capitale azionario (pubblico o privato) presenti il livello di diversificazione richiesto.

mercoledì 19 gennaio 2011

Che cosa si intende per private equity?

Per definire questo concetto è utile pensare al mercato come composto da due parti distinte tra loro. La prima è rappresentata dal capitale di rischio iniziale (venture capitai). La seconda è il mercato delle operazioni di levemged buy-out delle società esistenti. Comunemente, però, il mercato viene poi ulteriormente suddiviso: il capitale di rischio iniziale viene distinto tra seed capitala early-stage venture capitai, mentre nelle fasi successive di investimento si distingue fra buy-out & capitale di espansione. Un altro importante settore per i fondi di private equity è rappresentato dai fondi di finanziamento e di cofinanziamento del settore pubblico. Negli Stati Uniti queste imprese vanno sotto il nome di investimenti PIPE (private investment into a public entìty, ovvero investimenti privati in entità pubbliche), mentre nel Regno Unito capitali simili vengono ascritti alla categoria generale delle iniziative di finanziamento privato (PFI, private finance initiativé) e di partnership pubblico-private. Il capitale di espansione può assumere la forma di un finanziamento "mezzanino", la categoria più rischiosa dei titoli di debito. Spesso prevede l'opzione di conversione in azioni, laddove la società non dovesse adempiere alle condizioni del debito, il cui prezzo sarà determinato in modo da garantire un tasso di rendimento elevato. Va sottolineato che il finanziamento mezzanino risulta particolarmente costoso per le imprese.
I management buy-out si verificano invece quando un team del management esistente è supportato da private equity esterni, ad esempio quando un'impresa a gestione familiare viene venduta oppure quando una società di più grandi dimensioni decide che una divisione esistente non costituiscapiù il suo care business.
II termine levcrage in leveraged buy-out (LEO) si riferisce al finanziamento dell'operazione, quando i nuovi proprietari di private equity avranno esercitato una leva finanziaria sulla propria partecipazione azionaria. Questo potrebbe verifìcarsi, ad esempio, attraverso l'emissione di prestiti di tipo asset-backed, la cessione di obbligazioni ad alto rendimento oppure, laddove gli accordi (covenant) obbligazionari o di finanziamento siano deboli, ristrutturando lo stato patrimoniale della società in modo che il debito esistente sia svalutato e acquisisca un rendimento più alto. Tale approccio sullutilizzo della leva finanziaria è la principale motivazione per cui, in genere, il private equity dev'essere considerato più rischioso delle azioni quotate.
Dalla fine degli anni '90, numerosi sono stati i cambiamenti nel mercato del private equity. Mark Anson, passato recente¬mente dalla carica di Chief Investment Officer di Calpers, il più grande piano previdenziale degli Stati Uniti, a CEO di Hermes - gestore di fondi londinese che investe l'attività del British Telecom Pension Fund e di altri investitori istituzionali ha esaminato in che modo la raccolta di capitali da parte elei gruppi di private equity degli ultimi anni abbia portato a un'eccedenza di capitale in attesa di essere investito. Tale fenomeno ha a sua volta determinato una forte concorrenza fra i gruppi di private equity, sfociata in prezzi più alti per l'acquisizione di aziende, che si prevede possa subire una flessione nel prossimo futuro. L'ambiente più competitivo potrebbe inoltre aver costretto i gruppi di private equity a dedicare meno tempo alla due diligerne prima di fare la propria offerta per le società target, incoraggiandoli altresì a cercare nuovi settori di investimenti, tra cui: il rinnovato interesse per le operazioni di buy-out di medie dimensioni, la maggiore acccttazione di acquisti e vendite di società private fra i gruppi di private equity, gli investimenti immobiliari e il finanziamento da parte di gruppi di private equity degli hedge fund affiliati.

Il mercato del private equity è rischioso?

I ricercatori hanno utilizzato tutta una serie di altri modi più 0 meno soddisfacenti per gestire la volatilità del mercato del private equity. Fra questi, l'esame della volatilità dei rendimenti guadagnati dai fondi di private equity nonché l'utilizzo di indici di azioni di società più piccole come approssimazione del private equity.
I singoli investimenti del venture capitai saranno comunque sempre soggetti al rischio specifico delle azioni e, per diversificare questo rischio, i portafogli di venture capitai tenderanno
comunque a detenere più posizioni (sebbene possano concentrarsi su un settore o un ambito particolare) rispetto a quelli di buy-out.
La struttura finanziaria è fondamentale per il rischio di investimenti in leverage buy-out (LBO). Di norma questi, come suggerisce lo stesso nome, sono ad alta leva finanziaria e in
misura ancora maggiore rispetto a quanto accade con le società quotate comparabili. Per tale ragione, la volatilità intrinseca del mercato di private equity, anche se ben diversificato, potrebbe risultare decisamente maggiore di quella del mercato azionario quotato. Gli investitori non dovrebbero dunque accontentarsi di un rendimento atteso che non li compensi per questa leva finanziaria. Inoltre, non ha alcun senso pagare commissioni di performance soltanto per ottenere un effetto leva sul proprio portafoglio di investimenti. Chiunque può raggiungere questo obiettivo a un costo minimo acquistando contratti future sugli indici azionati.

martedì 18 gennaio 2011

Il rischio di mercato del private equity

In tutti i paesi la gamma di aziende private è ampia: nella maggior parte dei casi si tratta di società di piccole dimensio¬ni, ma ve ne è una quota anche di grandi. Lo sviluppo dei gruppi di private equity, che controllano importi ingenti del patrimonio degli investitori, ha portato all'affermazione di grandi conglomerati industriali e commerciali privati che controllano le aziende private nei settori più disparati dell'economia globale.
Le aziende private spesso appaiono simili a quelle quotate, loro concorrenti. Ma questo non significa che i rischi per gli investitori siano paragonabili a quelli del mercato azionario. La prima differenza è rappresentata dall'illiquidità e dalla maggiore difficoltà a trasferire parte della proprietà in una società privata di quanto non lo sia in un'azienda quotata in borsa. La seconda è data dal fatto che si riscontrano degli squilibri sistematici nelle caratteristiche delle società private rispetto a quelle quotate (ad esempio, le prime saranno più presenti tra quelle di piccole e medie dimensioni). Ciò nondimeno si potrebbe pensare che il rischio intrinseco o la volatilità del loro valore aggregato possa essere ampiamente paragonabile a quello delle società quotate.
Ci si può fare un'opinione al riguardo osservando la volatilità della più grande società quotata al mondo, il cui care business è la gestione di un portafoglio diversificato di private equity. Si tratta del Gruppo 3i, quotato alla borsa di Londra. Verso la fine degli anni '90, 3i presentava una volatilità pari a circa la metà della volatilità dell'intero mercato azionario britannico. Nel
corso del 2000 la situazione cambiò notevolmente con l'inizio della fase ribassista del mercato azionario e la volatilità dei prezzi del portafoglio diversificato di private equity aumentò fino a essere due, tre volte quella del mercato azionario britannico. Si tratta di un andamento che avrebbe rispecchiato l'esperienza di molti investitori di private equity, poiché lo squilibrio nei confronti delle nuove società tecnologiche divenne una caratteristica di molti fondi di private equity, soprattutto in quelli di venture capitai. Il fatto che tutto ciò sia effettivamente successo non sorprende più di tanto, poiché lo squilibrio verso le ultimissime novità sarà sempre una caratteristica predominante e un rischio degli investimenti in early-stage venture capital.

Portafogli di private equity

Secondo un vecchio detto del private banking, si dovrebbero concentrare gli investimenti per diventare ricchi (correndo il rischio di perdere la camicia), ma una volta diventati ricchi si dovrebbe diversificare per conservare la ricchezza accumulata. Rispecchia esattamente il parallelismo tra portafogli safety-first e aspirazionali della finanza comportamentale, che abbiamo visto nel secondo capitolo del primo libro della collana. Il private equity si basa sullo sfruttamento di vantaggi informativi per identificare le abilità e le competenze imprendito-riali e non ha nulla a che fare con un atteggiamento conservatore sotto il profilo finanziario. Potrebbe essere una delle componenti di un approccio efficientemente diversificato, all'interno del quale però è chiaramente una componente di una strategia aspirazionale per accumulare ricchezza. Questo permette di giungere a una serie di conclusioni.
  • I fondi di fondi ben diversificati potrebbero eliminare, attraverso la diversificazione, preziosi elementi di vantaggio informativo.
  • In presenza di un'elevata leva finanziaria, la volatilità intrinseca potrebbe continuare a essere incredibilmente elevata nonostante un fondo di fondi ben diversificato.

Potrebbe essere corretto avere un'allocazione modesta in un numero esiguo di fondi (anche di un solo team), fin tanto che l'allocazione combinata fra private e public equity resta ragionevolmente bilanciata.
Un pericolo comune dell'investimento in private equity è di non riuscire a diversificare nel tempo. Una volta scelto ciò che si preferisce, è ragionevole mantenere nel tempo l'impegno assunto sul mercato, presumibilmente restando fedeli al gruppo (o ai gruppi) scelto. In caso contrario, i rischi prevalenti sul mercato in un dato momento (ad esempio una leva finanziaria alta o l'esposizione a particolari temi legati all'investimento in venture capitai) segneranno oltremodo l'esperienza dell'investitore in private equity.

lunedì 17 gennaio 2011

Quanto rendono le private equity

Un modo per farlo è confrontare l'iRR raggiunto da un fondo sui suoi investimenti di private equity con l'iRR che avrebbe ottenuto se la liquidità fosse stata investita, alle stesse date, in un indice del mercato azionario e se fossero state fatte distribuzioni equivalenti agli investitori. Recenti ricerche accademiche lo hanno fatto analizzando i fondi di venture capitai e buy-out statunitensi della banca dati Venture Economics. Dal confronto dei dati registrati fra il 1980 e il 2000, si evince che la performance media di questi fondi, post commissioni, risultava in linea con l'indice S&P 500. È stata altresì notata un'ampia dispersione di risultati fra i fondi nonché una prova consistente del fatto che le performance buone o cattive fossero confermate anche nei lanci successivi di fondi da parte di particolari gruppi di private equity. I ricercatori hanno inoltre evidenziato come i nuovi gruppi di private equity avessero maggiori probabilità di registrare risultati deludenti. La ricerca sottolinea l'importanza di una serie di interrogativi sottolineati all'inizio del capitolo. In primo luogo, sembrerebbe che, mediamente, gli investitori in private equity non abbiano incassato un premio a compensazione del financialgea-ring (effetto moltiplicativo) spesso insito nel private equity. In secondo luogo, l'analisi della persistenza della performance del gestore è fondamentale, in quanto gli investitori devono autoconvincersi di essere in grado di identificare i gestori su-periori alla media. Le competenze sono fondamentali: gli in¬vestitori non possono trarre beneficio dai rendimenti di mercato nel private equity attraverso una strategia passiva di market-matching, ragion per cui non possono aspettarsi di performare anche solo nella media, a meno di non aver individuato gestori competenti. Senza di loro, gli investitori sono infatti condannati al underperformance, a meno che, almeno per un certo periodo di tempo, la dea della fortuna non sia dalla loro parte.

I rendimenti del private equity

I dati sulla performance del private equity (esattamente come quelli sul rischio) soffrono, per così dire, dell'assenza di indicazioni di mercato relative al valore delle imprese private. La necessità di fare affidamento sulle stime relative alle valutazioni infrannuali appiattisce le performance registrate nell'anno solare. Le valutaziom restano comunque utili in quanto forniscono agli investitori importanti informazioni su quali siano i "lavori in corso".
L'unico dato sulla performance del private equity che però conta davvero è il tasso di rendimento interno (internai rate of return, IRR) ottenuto sugli investimenti. Questo unisce l'importo investito, l'importo ricevuto e l'intervallo di tempo che intercorre fra i due eventi. In sostanza, si tratta degli unici dati finanziari significativi e certi di cui l'investitore dispone al momento dell'investimento in un private equity (e in qual-siasi investimento di questo tipo). LlRR rappresenta il tasso di rendimento standard registrato dai fondi e dai singoli investimenti (ma gli investimenti non realizzati saranno iscritti nei rapporti IRR a un valore stimato).
I dati di settore indicano spesso IRR disaggregati per annata di partenza (vintageyear). Sono però informazioni che non rivelano la volatilità con cui i rendimenti sono stati incassati né permettono di fare un confronto alla pari con l'andamento del mercato azionario. Tali informazioni sono spesso scompo¬ste in materiale a scopo commerciale per mostrare le performance più interessanti dei migliori gestori (ad esempio il primo 25%), sottolineando che è importante scegliere un gesto¬re che in futuro rientri nel primo quartile. E sempre auspicabile scegliere un vincitore: il problema è però se la performance storica dei gestori di private equity sia in grado di fornire una qualsiasi indicazione su quella futura. Nell'investimento in fondi comuni, è opinione comune che la performance pregressa riportata dalle classifiche rappresenta un indicatore limitato di quella futura. Tuttavia, nel caso del private equity, da tempo si sostiene che il successo sia ripetibile e le ricerche accademiche confermano sempre più che questo potrebbe effettivamente accadere. Uno dei problemi legati al confronto della performance dei gestori di private equity è l'impossibilità di ottenere valori affidabili per le aziende private e la difficoltà di confrontare la performance di un gestore, o di un fondo di private equity, con quella del mercato azionario.

domenica 16 gennaio 2011

Consigli su quanto allocare negli hedge fund?

Il processo di determinazione sul "quanto" allocare a queste strategie dovrebbe quindi partire dal rischio associato alle stesse e dalla sua diversificazione con altri strumenti, nonché da un parere informato sulla ricompensa prevista per l'allocazione di capitale in queste strategie.
Trattandosi di un terreno ancora inesplorato, soprattutto per quanto riguarda le previsioni di rendimento, è proprio qui che nascono le difficoltà per gli investitori. Vanno tuttavia considerate alcune conclusioni generalmente accettate.
In alcune di queste strategie i benefici della diversificazione sono più che consolidati (sebbene possano non essere con sistenti in ogni periodo).
E' ragionevole supporre che il mercato debba ricompensare questi servizi, essendo gli altri partecipanti del mercato chiaramente intenzionati a pagare per usufruirne.
I benefìci della diversificazione sono tali che il premio richiesto, necessario (oltre il rendimento degli investimenti safe haven) per giustificare un'allocazione a queste strategie di hedge fund, appare piuttosto modesto.
Nascono da qui due conclusioni definitive.
Le incertezze intrinseche implicano che l'allocazione a questi alternative market beta dovrebbero portare a un atteggiamento cauto, in modo da non dominare la strategia degli investitori.
Per la maggior parte degli investitori, alcune di queste allocazioni risultano normalmente giustificabili.

Quanto si dovrebbe allocare negli hedge fund?

Una debolezza ricorrente dell'approccio fondo di fondi all'investimento in hedge fund è che è tipicamente strutturato ignorando i rischi d'investimento presenti altrove nella strategia di un investitore. Abbiamo più volte ribadito nel libro che gli investitori hanno bisogno di cercare il maggior numero di fonti di performance diverse per poi decidere come combinare al meglio rischi, opportunità e interdipendenze. Poiché vi sono alcuni aspetti della performance e del rischio degli hedge fund disponibili altrove e altri aspetti unici, chiedersi quanto debba essere allocato in hedge fund cessa di essere una domanda rilevante.
Per contro, la questione è piuttosto quanto gli investitori vorrebbero fosse allocato a diversi tipi di rischio sistematico. Esiste dunque una forte argomentazione a favore dell'approccio di alcuni gestori di fondi di fondi hedge, che consiste nell'offrire combinazioni di fondi separate per categorie o bucket (comparti) di assunzione del rischio. Ad esempio, alcune strategie hedge (come nel caso degli hedge fund azionari) offrono combinazioni di rischi del mercato azionario ed esposizioni alle competenze del gestore che rappresentano ovvie alternative (o concorrenti) ai rischi e alle opportunità cui gli investitori si espongono nel momento in cui scelgono gli equity manager convenzionali. Gli stessi principi si applicano agli hedge fund specializzati, ad esempio, nei mercati emergenti oppure alle strategie sul mercato del credito: l'allocazione a tali gestori dovrebbe essere considerata al momento di decidere l'allocazione ai titoli di debito del mercato emergente oppure, ad esempio, ai titoli di debito corporate di tipo sub-investment grade (tenendo conto dei differenti elementi di diversificazione offerta da ognuno). Fin qui tutto chiaro, anche se non è questa la procedura seguita di solito. Più interessante è come decidere che cosa allocare agli hedge fund e ad altri veicoli d'investimento che offrono fonti di performance e rischio diverse da quelle tipiche dei mercati azionari e obbligazionari. Questa è la ricompensa offerta agli investitori in hedge fund per aver fornito una serie di servizi assicurativi, prevalentemente mediante liquidità e servizi di intermediazione su diversi mercati. Fra questi si annoverano le strategie alternative market beta, descritte semplicemente come strategie arbitrage, ciascuna con una forte componente di competenza gestionale.

sabato 15 gennaio 2011

La gestione del rischio degli investitori: il ruolo dei fondi di fondi hedge

Gli investitori dovrebbero accettare il rischio di un rendimento negativo estremo unicamente laddove questo sia ritenuto più che compensato dalla prospettiva di una performance po¬sitiva nel tempo; anche in questo caso, il rischio dovrà essere compensato quanto più possibile entro una asset allocation generale. Ciò significa in altre parole combinare diverse strategie hedge in modo da gestire questi rischi per poi accertarsi che l'allocazione agli hedge fund si adegui alla propensione per il rischio generale o almeno al livello desiderato di comfort dell'investitore. E qui che l'aggiunta di fondi managedfutures può mitigare il rischio di rendimenti negativi estremi, evidenti invece nelle strategie degli hedge fund. Il compito di composizione del portafoglio spetta di norma ai gestori dei fondi di fondi hedge, i quali gestiscono i portafogli degli hedge fund. I gestori di fondi di fondi hedge svolgono due ruoli fondamentali: uno è quello di comporre il portafoglio e di gestire il rischio d'investimento generale; il secondo riguarda la due diligence del gestore di hedge fund. Dato l'elevato livello di rischi operativi e reputazionali impliciti nell'investimento in hedge fund, il ricorso a fondi di fondi hedge è un modo di procedere efficace. Un modo altrettanto valido consiste nel seguire il lavoro dei gestori di fondi di fondi hedge per vedere in azione un professionista della gestione del rischio insito nell'investimento in hedge fund. Circa un terzo dei 1.600 miliardi di dollari stimati per l'investimento in attività di hedge fund è incanalato attraverso accordi di fondi di fondi hedge.
Gli investitori dovrebbero essere soddisfatti del processo di due diligence adottato, ma questo non evita che si possa assistere di fronte a una performance d'investimento inattesa o a un incidente operativo a investitori che si rivolgono al proprio team di due diligence dicendo: "Pensavo aveste verificato questo aspetto".
Questi rischi dovrebbero essere mitigati dall'approccio fondi di fondi hedge. Ovviamente, però tutto ha un prezzo. In particolare si verrà caricati di un livello supplementare di commissioni su una struttura già di per sé costosa. Questo potrebbe rendere appetibile la serie di indici di hedge fund passivi ritenuta "investibile" introdotta dal 2002 e costituita con l'intenzione di rappresentare la principale categoria d'investimento in hedge fund. Se i rendimenti degli hedge fund rappresentassero unicamente le competenze del gestore, sarebbe difficile giustificare un approccio passivo per investire in una serie tipica di hedge fund disponibili. Tuttavia, poiché la performance degli hedge fund comprende sia ingredienti replicabili di competenza (ad esempio, nell'accedere e nel gestire il rischio di fonti di rendimento altrimenti inaccessibili) sia rendimenti sistematici del mercato, ai quali non è possibile accedere in altri modi, un approccio passivo all'investimento in hedge fund potrebbe rappresentare un modo per introdurre una fonte di diversificazione dei rendimenti di una strategia d'investimento.

"Tempeste perfette" degli hedge fund

Vale la pena ribadire che i money manager attribuiscono spes¬so una performance insolitamente mediocre a una confluenza altamente improbabile di eventi che interessano i mercati finanziari. E più che mai un caso reale in un investimento in hedge fund. Gli eventi descritti dai gestori come "attesi" solo "una volta ogni milione di anni" sembrano invece essere tal¬mente comuni da passare persine inosservati. Questo rispecchia soprattutto la debolezza dei modelli di rischio e, come indicato nel primo capitolo del primo volume della collana, l'incapacità di immaginare combinazioni di eventi di per sé ordinarie. Ad esempio, la combinazione di eventi che sfidano i modelli e che riguardano il downgrading delle agenzie di rating dei titoli di debito General Motors e Ford nel maggio del 2005, così come il concomitante annuncio pressoché inaspettato da parte di un grande investitore di voler aumentare consistentemente la sua partecipazione nelle azioni GM fu descritto da un hedge fund come un evento da "otto deviazioni standard", cosa che non dovrebbe verifìcarsi mai se i mercati si comportassero come suggeriscono i modelli semplici. Tuttavia, l'occorrenza apparentemente frequente di queste "cattive nuove" nella performance degli hedge fund rispecchia una caratteristica particolare di molte strategie hedge che gli investitori devono comprendere: essendo paragonabili agli accordi d'investimento di tipo assicurativo, la maggior parte delle volte garantiscono dei rendimenti costanti, poiché i premi assicurativi vengono incassati, pur essendo esposti al rischio di ingenti perdite occasionali, quando deve essere pagato un sinistro.

venerdì 14 gennaio 2011

Investimenti in hedge fund illiquidi e periodi di "long notice"

Molti hedge fund individuano ottime opportunità negli investimenti non quotati e illiquidi. Esempi tipici riguardano i finanziamenti privati a società di tipo investmentgra.de o di-stressed debt nonché azioni non quotate o illiquide. Si tratta precisamente del tipo di opportunità che una società d'investimento imprenditoriale è pronta a sfruttare, (gli investitori però hanno bisogno di essere certi che quanto viene giudicato un processo d'investimento in hedge fund di qualità sia accompagnato da uno standard simile nel determi-nare le condizioni in cui avvengono le entrate e le uscite dei (ondi dal fondo. Ciò è motivo di preoccupazione, perché ci sono i margini di errore nei trasferimenti patrimoniali fra i partecipanti al fondo. Va segnalato che tali questioni potrebbero presentarsi soprattutto in relazione alle strategie hedge fund che interessano investimenti illiquidi o non quotati e che permettono agli investitori di sottoscrivere o liquidare le quote solo in date stabilite. E per questo motivo che gli investitori in strategie di hedge fund illiquide non dovrebbero obiettare a tali regole, bensì chiedersi se gli altri investitori siano soggetti a penalità per rimborso anticipato (da accreditare al fondo) per tenere conto adeguatamente dell'illiquidità sottostante del-l'hedge fund. I periodi lunghi di lock-up, come regole di rimborso inflessibili o ampi spread denaro/lettera per gli hedge hmd con investimenti sottostanti illiquidi, possono essere interessanti per tutti gli investitori in quel fondo.

Bugie e alcune statistiche sul rischio degli hedge fund

Gli investimenti illiquidi in hedge fund sono caratterizzati anche da altri problemi. Qualsiasi prezzo per un investimento non quotato sarà una stima. Le valutazioni perequano inevi-tabilmente e ritardano i cambiamenti nei prezzi di mercato sottostanti. Questo implica che, qualora gli investitori abbiano la possibilità di operare su un valore di stima, tenderanno a comprare o a vendere quando riterranno che il prezzo stimato sia maggiore o minore di quello di mercato. Inoltre, i valori di stima sono meno volatili dei prezzi di mercato. Ciò significa che la volatilità delle stime mensili non dovrebbe mai essere usata come guida al rischio in una strategia che prevede un ampio ricorso alle valutazioni. Laddove i dati sui prezzi siano perequati, i calcoli di volatilità e di rendimento corretto per il rischio (quale lo Sharpe ratto) saranno distorti, il rischio apparirà minore di quanto non lo sia veramente e la performance corretta per il rischio migliore. I valori di stima possono fornire utili informazioni di gestione, ma devono essere usati con cautela.
La questione relativa all'illiquidità e alla perequazione inevitabile dei rendimenti degli hedge fund e le relative implicazioni per misurare il rischio sono state oggetto di ricerche approfondite. I risultati tendono a essere uniformi nello stabilire l'importanza della questione e nel modo in cui si concentrano sulle strategie illiquide degli hedge fund. Le categorie interessate comprendono la strategia di distressed debt, di convertible arbitrage, le strategie event-driven e sui mercati emergenti. Le strategie che di norma non sono interessate da questo fenomeno di perequazione delle valutazioni sono quelle liquide: ovvero equity long/short, macro, short bias e soprattutto i fondi CTA o managed futures.
Calcolare i prezzi per fondi che comprendono ingenti quantità di investimenti privati e illiquidi rischia di seguire pedis-sequamente una procedura di stima, per poi usare gli stessi dati per predisporre la performance e, in particolare, le statistiche di rischio, le quali più che informare disinformano. Nell'ambito del private equity e del settore immobiliare, dove emerge lo stesso problema, le valutazioni degli investimenti sottostanti forniscono informazioni sulla gestione, ma non sui prezzi adeguati di sottoscrizione/rimborso; resta dunque inteso che (almeno nel private equity) l'unica performance che conta davvero è il tasso interno di rendimento, calcolato dall'importo di cassa originariamente investito, la liquidità successivamente rimborsata agli investitori e il tempo trascorso in mezzo.
Le sottoscrizioni ai fondi di private equity sono destinate a essere trattenute fino al realizzo, e per quanto vi sia un mercato secondario per le partecipazioni a tali fondi, questo non è at-tendibile per le "uscite all'ingrosso". Ad esempio, gli investitori in fondi di private equity sarebbero sorpresi se venisse loro sottoposto uno schema di statistiche mensili sui rendimenti di un portafoglio di venture capitai o di private equity per il calcolo delle statistiche di rischio, quali la deviazione standard o lo Sharpe ratto. Nel mondo degli hedge fund, invece, ciò accade regolarmente, anche nel caso di portafogli che comprendono ingenti investimenti illiquidi. Più utile come indicatori di performance, capaci di far luce sul rischio, possono rivelar¬si calcoli quali il maximum drawdown (massimo arretramento), che misura i rendimenti negativi del fondo, mitigando il problema delle valutazioni perequate.

giovedì 13 gennaio 2011

Rischi operativi degli hedge fund

II settore degli hedge fund è in rapida espansione e la proliferazione di relazioni sui rischi del settore e sulle bestpractice dimostra al tempo stesso sia le carenze sia l'emergere di una comprensione delle best practice. Sono tutti segnali della crescente maturità e istituzionalizzazione del settore. Ciò nonostante, gli investitori non possono dar per scontato che i loro hedge fund siano gestiti seguendo standard elevati. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata al rischio operativo nel processo di due diligence di un hedge fund, essendo questo la principale ragione delle chiusure catastrofiche e improvvise degli hedge fund.
Una questione chiave che gli investitori dovrebbero considerare deriva dalle difficoltà incontrate dagli hedge fund nello sviluppo di un marchio duraturo, in parte a causa degli effetti di incentivazione della struttura delle commissioni di performance, che ha portato a un tasso elevato di chiusure. Il potenziale incentivo che gli hedge fund chiudano dopo un periodo di performance mediocri dovrebbe indurre gli investitori, o i loro consulenti, a cercare delle alternative al gestore di hedge fund; un elemento che almeno in termini di tempo e sforzo va ad aggiungersi ai costi d'investimento.

Il rischio degli hedge fund

II rischio degli hedge fund dovrebbe occupare una posizione di primo piano in qualsiasi valutazione di un eventuale investimento in questi strumenti. Trattandosi di fondi rimasti per lungo tempo senza alcuna regolamentazione, è opportuno che gli investitori considerino in che termini questo può minare il loro grado di sicurezza. Vi sono diversi esempi, ormai ben noti, di frodi con hedge fund e di frodi apparenti ed è probabile che la parte più imprenditoriale e per così dire "artigianale" del settore degli hedge fund contribuisca alla debolezza procedurale che lo attanaglia alla base. Cosa che dovrebbe essere meno probabile nelle parti del settore delle gestioni patrimoniali tradizionali, ben consolidate, dotate di una maggiore consapevolezza procedurale e altamente regolamentate. Nel passaggio da un ambiente regolamentato a uno che non lo è, è opportuno che gli investitori si sentano a proprio agio. La regolamentazione, però, è alle porte: dall'inizio del 2006 gli hedge fund statunitensi (ovvero gli hedge fund che hanno sottoscrittori USA) sono stati chiamati a registrarsi come consulenti all'investimento presso la Securities and Exchange Commission (SEC). Sebbene si sappia che una minoranza di hedge fund ha eluso queste nuove norme, chiudendo l'accesso a nuovi investitori oppure imponendo un lock-up di due anni prima che gli investitori potessero ritirare i propri fondi, secondo fonti del settore la stragrande maggioranza degli hedge fund appartenenti all'industria statunitense si è registrata presso la SEC.

mercoledì 12 gennaio 2011

Le dimensioni del mercato hedge fund

Circa un terzo dei 1.800 miliardi di dollari stimati investiti a settembre 2005 è rappresentato da accordi di fondi di fondi hedge, laddove i gestori dei fondi di fondi sono responsabili della selezione dei singoli gestori di hedge fund nonché della gestione del rischio. Il saldo di 1.100 miliardi di dollari è stato investito direttamente in hedge fund dagli investitori. Sempre nel settembre del 2005, altri 131 miliardi di dollari erano stati investiti in programmi di future gestiti con CTA, generalmente non classificati come hedge fund, pur essendo direttamente comparabili.
L'ammontare complessivo allocato direttamente dagli investitori negli hedge fund, il 35% è stato collocato in hedge fund azionati e circa il 9% rispettivamente in fondi di tipo event-driven e multi-strategy; le strategie dei mercati emergenti rappresentavano l'll%, mentre quelle fixed-incomee distressed debt il 18%.
I dati storici indicano che rispetto alla fine del 2003, i cambiamenti più significativi sono stati caratterizzati da riduzioni relative nelle allocazioni ai fondi convertible arbitrage e, in misura minore, ai fondi multi-strategy, compensate dall'aumento delle allocazioni in strategie event-driven. Anche i dati a più lungo termine dimostrano che si è verifìcata una flessione della posizione una volta preminente dei macro hedge fund globali e dei fondi gestiti da CTA, sebbene negli ultimi anni si sia assistito a una ripresa dell'interesse nei confronti dei fondi CTA.

Tipi di strategie di hedge fund

Alla luce della rapida evoluzione del mercato, la classificazione tradizionale delle strategie di hedge fund potrebbe rivelarsi obsoleta. Una classificazione generica e tradizionale degli hedge fund si basa sulla distinzione fra strategie "direzionali" e "non direzionali". Le prime cercano deliberatamente di trarre opportunisticamente benefìcio dalle oscillazioni di mercato e comprendono strategie macro, di short selling e sui mercati emergenti, come pure la maggior parte delle strategie equity long/short e distressed debt.
Per contro, le strategie "non direzionali" cercano deliberatamente di trarre vantaggio dalle anomalie di pricing dei titoli che, in linea di principio, dovrebbero essere comparabili. Stra-tegie di questo tipo sono conosciute come strategie arbitrage o di valore relativo. Una definizione in senso stretto del termine arbitrage si riferisce allo sfruttamento di prezzi diversi per lo stesso titolo, o della stessa esposizione al rischio, in mercati diversi.
Il arbitrage viene usato più ampiamente negli investimenti in hedge fund per descrivere posizioni di compensazione giudicate simili e speculari da un gestore, e che dovrebbero ragionevolmente garantirsi una copertura reciproca per la maggior parte del tempo. In pratica, vi sono quasi sempre elementi di forte rischio che possono minare le strategie hedge fund arbitrage; pertanto questo termine non dovrebbe essere usato con il significato di strategia a basso rischio.
Le altre strategie, spesso definite di tipo event-driven, possono prevedere una combinazione di strategie arbitrage e direzionali. E stato riconosciuto che, di fatto, tutte le strategie hedge fund comprendono l'esposizione a combinazioni di rischio di mercato più o meno grandi.

Gli hedge fund garantiscono una copertura?

Durante il mercato orso del 2000/02, gli indici aggregati degli hedge fund sovraperfbrmarono con molto distacco gli indici delle borse. All'epoca molti investitori privati trasferirono i propri fondi dall'investimento diretto in azioni alle strategie hedge fund. Per molti di loro gli hedge fund offrivano una buona co¬pertura contro il mercato azionario ribassista. Ma quanto affidabile era la copertura garantita allora dagli hedge fund? La risposta è fornita dal commento che un investitore privato mi fece nel 2003, mentre mi spiegava quanto fosse lieto che il suo consulente finanziario l'avesse convinto "a mantenere le sue azioni sotto forma di hedge fund". L'investitore aveva colto nel segno quanto stava accadendo con la sua strategia. Molti gestori di hedge fund azionari adeguano la propria espo¬sizione rispetto a quelle che considerano essere le tendenze di mercato, aumentando l'esposizione dopo i rialzi di mercato e riducendola dopo i crolli. La fase ribassista del mercato azionario del 2000/02 fu insolitamente lunga e persistente. E probabilmente questa la ragione per cui quell'esperienza può fuorvia¬e gli investitori in merito alle capacità degli hedge fund di garantire una copertura in caso di forti e improvvise inversioni del mercato azionario.

martedì 11 gennaio 2011

Il settore degli hedge fund deve affrontare una limitazione della propria capacità?

La allocazione, aumentò considerevolmente le dimensioni dell'hedge fund, coincise con la scomparsa delle anomalie sopra menzionate, riducendo così significativamente la redditività della strategia. Un'opportunità d'investimento, quando viene identificata, attira capitali provenienti da una serie di fonti in misura tale da rimuover¬la e ridurre conscguentemente la redditività della strategia. Pertanto, ove le strategie di hedge fund sfruttino anomalie tecniche che possono essere facilmente tradotte in utili, i flussi di denaro in cerca di tali utili travolgeranno le stesse anomalie.
Nel caso delle strategie di arbitrage degli hedge fund, que¬sto aspetto deve essere preso in seria considerazione. Vi sono altri settori in cui i fattori amministrativi, come la generazione di posizioni corte, limitano la portata delle strategie di hedge fund. Conscguentemente, i gestori di tipo short-selling potrebbero avere difficoltà a gestire fondi estremamente consistenti.
La stessa restrizione si applica ai gestori long/short di titoli azionati, i quali in pratica, per una serie di ragioni, ricorrono spesso agli EFT e ai contratti equity futures per ridurre le proprie esposizioni di mercato. Per contro, alcune strategie basate sulle competenze (come quelle global macró), nonché quelle finalizzate a garantire un'esposizione sistematica al mercato del credito, non possiedono alcuna ovvia limitazione alla ca¬pacità imposta dal mercato. Nel caso di queste strategie, indicare che quelle di hedge fund siano limitate in termini di capacità non ha più senso di quanto non ne abbia suggerire che i mercati obbligazionari o azionati stiano subendo limitazioni analoghe.

Fonti alternative di rendimento e rischio sistematico

Le collatemlised debt obligations (CDO), che permettono agli investitori di accedere a diverse tranche del rischio e del rendimento sistematico, in precedenza individuabile unicamente nello stato patrimoniale delle banche commerciali. Il rischio e il rendimento sistematico inglobato nelle CDO rispecchia gli aspetti del credito che troviamo nei mercati delle obbligazioni societarie e dei mercati emergenti. Tuttavia le CDO forniscono un'esposizione alle fonti di rischio del credito non rappresentate nei portafogli obbligazionari convenzionali; pertanto, qualora siano adeguatamente strutturate, possono essere con¬siderate un complemento a un'esposizione esistente dell'investitore al rischio del credito.
Gli hedge fund offrono ulteriori aspetti del rischio e del rendimento sistematici, alcuni dei quali non sono accessibili negli schemi di rischio gestito in portafogli azionari e obbligazionari di tipo long-only. Uno di questi, che si ritrova in diverse strategie di hedge fund, è rappresentato dalla capacità di trattare la volatilità di mercato come un investimento da comprare e vendere e per sfruttare tendenze chiare nel suo pricing. Non esiste un sistema equivalente negli investimenti di tipo long-only, la capacità tecnica e il market timing previsti da queste strategie offrono una fonte di rischio e rendimento che non trova corrispondenti al di fuori degli hedge fund.
Fra le altre strategie si annoverano quelle di arbitrage a efficienza di mercato, fra cui la strategia di merger arbitrage, di statisticaiarbitrage (che sfrutta il momento di slancio a breve termine dei mercati), di fixed-incomee convertible arbitrage. Ognuna di esse rappresenta una potenziale fonte di rendimento sistematico, sebbene l'uso del tutto casuale del termine "arbitrage' da parte del settore degli hedge fund non deve lasciare intendere che queste strategie siano a basso rischio. Pertanto, i macro and commodity trading advisers (CTA, noti anche come mamigedfutures funds) rappresentano altre strategie prive di un parallelo di tipo long-only, laddove le strategie CTA costituiscono un modo indiretto per trarre vantaggio dal rendimento sistematico che sembra offerto agli investitori a lungo termine che forni¬scono liquidità ai mercati delle commodity. In questi e altri settori, gli hedge fund garantiscono un trasfe¬rimento del rischio e un servizio di liquidità che in passato non veniva fornito sistematicamente, oppure veniva garantito unicamente dalle banche commerciali. Sono proprio le banche a voler spesso trasferire o lasciare questi rischi agli hedge fund, poiché ciò agevola la gestione della loro adeguatezza di capitale e il rispetto dei nuovi standard di regolamentazione. Gli hedge fund necessitano di particolari competenze per fornire questi servizi; tuttavia il rendimento che gli investitori dovrebbero attendersi da questi deriva in prima istanza da quello di mercato in relazione a tale assunzione di rischio. Si tratta di fonti alternative del rendimento e del rischio d'investimento sistematico che servono per spiegare l'andamento delle diverse strategie di hedge rund e per fornire una giustificazione all'investimento in hedge fund.

lunedì 10 gennaio 2011

Le competenze degli hedge found

I rendimenti da hedge fund non siano correlati ai mercati azionari e obbligazionari (mentre lo sono) e che tutti i rendimenti da investimento seguano una distribuzione normale e comune, cosa meno vera nel caso di molte strategie di hedge fund di quanto non lo sia nel caso dei rendimenti azionari e obbligazionari. Ciò nondimeno, gli utili da diversificazione rappresentano la principale attrattiva degli hedge fund. In pratica, nel caso di una strategia hedge fund ben costituita che riesca a compensare i rischi di rendimenti estremi e a raggiungere utili da diversificazione consistenti. Sono molte le ricerche e gli esperimenti condotti che dimostrano la mancanza di competenze rare nella gestione dei portafogli d'investimento tradizionali. Cosa comprovata dalla difficoltà di individuare i gestori capaci di sovraperformare in futuro. Tuttavia, gli hedge fund offrono ai gestori capaci un maggior margine d'azione per mettere a frutto le loro capacità, nonostante anche loro abbiano bisogno di trovare nuove competenze.
L'autonomia straordinaria offerta dagli hedge fund si deve alle restrizioni minori con cui devono confrontarsi (rispetto agli investimenti long-only). La prima è rappresentata dalla capacità di costruire posizioni leveraged attraverso il prestito; la seconda è data dalla capacità di costituire posizioni corte e di ottenere dei ricavi dalle loro prospettive d'investimento negative (i gestori long-only devono rinunciare a questa opportunità di realizzare guadagni per i propri clienti). I gestori long-only che diventano gestori di hedge fund restano colpiti dal contrasto fra il modo in cui una posizione d'investimento consistente in un portafoglio tradizionale, sottoperformante a causa della flessione del prezzo, si trasformi in una pòsizione più piccola e meno rischiosa, mentre una posizione corta in un hedge fund, sottoperformante, a causa del suo au¬mento di prezzo, si trasformi in una posizione più consistente e più rischiosa. Queste posizioni vengono spesso sfruttate tramite un uso più flessibile dei derivati rispetto a quanto sia permesso con i mandati d'investimento di tipo long-only. Questa flessibilità straordinaria richiede una gestione del rischio d'investimento supplementare e competenze operative di back office. Tuttavia, questa flessibilità aggiuntiva non facilita la verifica delle competenze di un gestore di hedge fund più di quanto accade per i gestori long-only. Probabilmente è più complesso perché le strategie hedge fund sono meno trasparenti. Credere che le competenze straordinarie dei gestori siano l'u¬nico elemento di performance che debba attirare gli investitori verso gli hedge fund è un errore comune. La performance di un hedge fund è il riflesso delle competenze del gestore e dei rendimenti di mercato. A volte l'esposizione ai rendimenti del mercato azionario e del credito generati dagli hedge fund rappresenta l'esposizione ai rendimenti del mercato azionario e del credito ottenibile a costi più bassi investendo passivamente nei mercati azionari e del credito. Non c'è bisogno di versare commissioni di hedge fund per accedervi. Vi sono tuttavia altri tipi di rendimenti ai quali non è possibi¬le accedere efficientemente attraverso i mandati ai gestori d'investimento tradizionali e che rappresentano la performance d'investimento corrisposta per la fornitura di servizi ad alto va¬lore. In un articolo uscito sul Journal of Portfolio Management nell'autunno 2004, "An alternative future Part II: An exploration of thè role of hedge funds" ("Un futuro alternativo Parte II: Esplorazione sul ruolo degli hedge fund"), Clifford Asness, gestore di hedge fund nonché analista perspicace del settore, sostiene che gli hedge fund "consentono di garantire liquidità da parte di coloro che ce l'hanno già a coloro che invece ne hanno bisogno, permettendo che il rischio sia trasferito da coloro che non lo vogliono a coloro che invece lo vogliono".

L'importanza delle competenze in termini di rendimento degli hedge found

II capitolo più lungo del famoso libro di Charles Mackay, Ex-tmordinary Popular Delusions and thè Madness of Crowds ("La pazzia delle folle - ovvero le grandi illusioni collettive") è quello dedicato agli alchimisti. Per secoli gli alchimisti hanno solleticato l'immaginazione popolare degli europei con la loro ricerca e le loro false rivendicazioni di aver scoperto i segreti della pietra filosofale che avrebbe generato abbondanza e ricchezza trasformando il metallo in oro. La speranza è comunque sempre l'ultima a morire e per certi versi le rivendicazioni degli alchimisti potrebbero essere paragonate al materiale promozionale degli hedge fund.
Sono stati mostrati numerosi esempi di questo tipo ai potenziali investitori per illustrare i presunti benefici che si ottengono inserendo degli hedge fund nella strategia precedentemen¬te basata sui titoli azionati, a reddito fìsso e di pronto realizzo. Non ha però senso suggerire che il rendimento dell'investimento a rischio minimo di tipo safe haven possa essere aumentato, se non abbandonando il safe haven e correndo dei rischi. Tuttavia, gli utili generati dalla diversificazione possono aumentare i rendimenti attesi dei portafogli di rischio efficienti con l'aggiunta di hedge fund.

domenica 9 gennaio 2011

Costano care le commissioni degli hedge found?

Vi sono, numerosi casi di hedge fund che hanno chiuso decisamente in perdita, non solo perché gli investitori avevano perso fiducia e quindi ritirato i propri fondi, ma anche perché i gestori facevano fatica a motivare lo staff (e se stessi) in presenza di mediocri prospettive immediate che potessero far prevedere l'incasso di una commissione di performance. In questi casi erano più propensi a costituire un nuovo fondo piuttosto che aspettare di recuperare le perdite pregresse per incassare una commissione di performance. Si tratta di una profezia che si autorealizza quando gli investitori si aspettano che i gestori rispondano in questo modo a una performance mediocre. L'aneddotica sul settore mette in evidenza anche casi di reazione opposta in cui i gestori sembravano assumere più rischi in risposta a una performance mediocre: un gioco pericoloso del tipo "lascia o raddoppia". Ecco perché è fondamentale che l'investitore sia sempre vigile e controlli i comportamenti dei gestori, per vedere se cambia l'assunzione del rischio.
L'attuale struttura delle commissioni appare già sufficientemente ricca per scoraggiare l'investimento in hedge fund. Come indicato nel quarto capitolo del primo libro della collana, un premio ragionevole per il rischio azionario è pari al 4% annuo sui titoli di stato decennali e, in una situazione normale, questi prevedono un premio pari a circa l'l% annuo sulla liquidità. Uno schema di commissione "2 e 20" implica che, laddove gli investitori prevedano di incassare un rendimento post commissioni dagli hedge fund paragonabile a quello di una strategia azionaria passiva, dovranno essere disposti a corrispondere ai gestori di hedge fund circa il 50% del rendimento ante commissioni eccedente sui buoni ordinari del Tesoro. Una quota indubbiamente generosa, da qualsiasi punto di vista la si esamini.
Prima di essere quindi sopraffatti dall'indignazione a causa dell'entità delle commissioni degli hedge fund, sarebbe utile confrontarle con quelle versate normalmente per una tradizionale gestione attiva dei fondi. Gli accordi di gestione attiva di tipo long-only applicano generalmente una base di commissione più alta rispetto a quella delle strategie passive che possono garantire un'esposizione a costo minimo ai rendimenti di mercato. Una commissione più alta viene versata in previsione di una performance superiore, indipendentemente dal fatto che sia giustificata o meno dalla performance attuale. Nel caso dei portafogli istituzionali, alle volte le commissioni di performance vengono corrisposte anche quando i gestori long-only sovraperformano, rispetto a una soglia concordata, i loro benchmark di mercato. Un confronto equo tra i diversi accordi di commissione avviene nel modo più semplice quando è contemplata la presenza di una norma di riferimento per strategia d'investimento, in termini di titoli azionati, a reddito fìsso e di pronto realizzo. Questo può essere facilmente riprodotto con strategie d'investimento a basso costo. Qualora, come ha suggerito qualcuno, la strategia hedge fund di un investitore possa essere riprodotta in modo analogo, si potrà individuare una base per confrontare le commissioni versate e la plausibilità dei rendimenti attesi secondo le due strategie.

Le commissioni degli hedge fund sono troppo alte?

Secondo molti gestori di hedge fund porre una domanda di questo tipo equivale a chiedersi se i vip del mondo dello sport e del cinema siano pagati troppo o troppo poco. Tuttavia, sebbene la fortuna possa avere un certo peso in qualsiasi tipo di successo, la gestione degli investimenti è indubbiamente unica quanto a possibilità di far passare la fortuna come competenza. Il fatto che la fortuna possa portare ad ampie ricom¬pense finanziarie costituisce un problema perché lancia una serie di messaggi fuorvianti agli investitori, che sfociano in allocazioni errate del capitale d'investimento. E quindi fondamentale che le commissioni degli hedge fund continuino a essere al centro del pensiero degli investitori. La commissione standard su un hedge fund individuale è di " 1 e 20", "1,5 e 20" o "2 e 20". In altre parole, l'l%, l'1,5% o il 2% annuo del valore investito vengono applicati come commissione base, mentre il 20% del rendimento ottenuto ogni anno viene trattenuto come commissione di performance, a condizione che il rendimento sia positivo e che superi i picchi di rendimento (high watermark) o il livello massimo della precedente performance.
Degno di nota è il fatto che normalmente non è previsto al¬cun limite del rendimento diverso dall' high watermark per il versamento delle commissioni di performance. Ciò vuoi dire che una commissione di tipo "2 e 20" può risultare esigibile su una performance inferiore al rendimento di un buono ordinario del Tesoro. Pur essendo bizzarro corrispondere una commissione di performance su un rendimento inferiore a quello di un buono del Tesoro ordinario, un accordo di questo tipo è stipulato nella speranza di incassare un premio. I fatti dimostrano che alcuni hedge fund normalmente chiusi a nuovi capitali ne accettano selettivamente dei nuovi a una commissione di performance pari al 50% dei futuri profitti. La struttura delle commissioni esercita una pressione consistente sui gestori di hedge fund in termini di generazione di profitti.

Le motivazioni di chi ha gli hedge found

Il fenomeno sottolinea la mancata correlazione fra gli interessi degli investitori e quelli dei gestori di hedge fund e rappresenta un altro aspetto del problema "mandante-mandatario" che complica il rapporto fra gli investitori e i loro consulenti in molti rapporti d'investimento.
Negli investimenti degli hedge fund, la misura in cui gli interessi dell'investitore e quelli del gestore di hedge fund si allineano cambia se e quando un fondo specifico inizia a prospe¬rare e la cali option del gestore sul patrimonio diventa in-the-money. In questo caso, è probabile che i gestori siano più concentrati a preservare e a crescere piuttosto che a mettere a repentaglio il proprio patrimonio investito nel fondo. Questo potrebbe portare a un leggero spostamento della strategia commerciale dell'hedge fund dalla ricerca della performance a una maggiore attenzione all'attività di raccolta di capitali, sulla base dei dati della performance pregressa. In questa fase, alcuni hedge fund diversificano il rischio commerciale da quello patrimoniale, aggiungendo nuove strategie, mentre altri, che continuano a gestire una strategia singola, potrebbero rispondere riducendo l'assunzione di rischio. Gli investitori dovrebbero dunque fare attenzione a questa possibilità e stabilire quale potrebbe essere il potenziale effetto sul loro interesse nel caso in cui l'hedge fund assuma posizioni rischiose.

sabato 8 gennaio 2011

Che cosa motiva veramente i gestori di hedge fund?

La remunerazione garantita ai gestori di hedge fund è fondamentale per comprendere che cosa ci si debba aspettare e che cosa si possa invece pretendere dagli accordi di hedge fund, nonché per stabilire se possa avanzare del valore da assegnare a eventuali investitori esterni. La remunerazione degli hedge fund rappresenta il tentativo dei gestori di trattenere personalmente (almeno nelle proporzioni ritenute so-stenibili) i profìtti dell'investimento attribuibili alla loro rara abilità finanziaria.
Le competenze di un gestore di hedge fund sono soggette a incertezza. Un aspetto, questo, che impone dei limiti alle commissioni applicabili da parte dei migliori gestori di hedge, dovendo questi condividere i profìtti dell'investimento con i titolari del capitale investito.
Al tempo stesso, lo straordinario reddito potenziale dei gestori e le difficoltà legate alla verifica delle competenze hanno incoraggiato il proliferare di pseudo-gestori di hedge fund che considerano il settore una potenziale cali option gratuita su patrimoni consistenti. Il prezzo pagato, in caso di mancato successo, viene considerato relativamente esiguo, mentre la difficoltà di individuare le vere competenze suggerisce che alle volte il caso può offrire prospettive migliori in termini di ricompensa finanziaria soddisfacente rispetto a quanto potrebbe fare la sola abilità del gestore.
I money manager di recente successo tenderanno naturalmente ad attribuire i risultati ottenuti alle proprie capacità innate. Non sorprende quindi che siano fiduciosi di poter aumentare e addirittura migliorare la performance registrata, trasformandosi in gestori di hedge fund. Resta comunque il fatto che per scoprire la differenza fra competenza e fortuna dovrà essere usato il denaro degli investitori, sebbene in alcuni casi le competenze potranno essere oscurate dalla sfortuna, e in altri la mancanza di competenza continuerà a essere oscurata dalla persistente buona sorte.
Una conferma addirittura aneddotica di quanto affermato proviene dal fatto che i prime broker (divisioni delle banche d'investimento che erogano servizi bancari agli hedge fund) incoraggiano la costituzione degli stessi hedge fund (a loro volta clienti dei prime broker] nel tentativo di perseguire strategie d'investimento volatili. Ci sono maggiori probabilità che una serie di strategie volatili di diversi giovani hedge fund produca track record a breve termine almeno commercialmente appariscenti, e quindi una crescita più rapida dei fondi in gestione (situazione che comporta maggiori affari per i prime broker) rispetto a una serie di strategie d'investimento stabili dal debole track record.

Che cosa sono gli hedge fund?

Secondo la Managed Funds Association un hedge fund è "un veicolo d'investimento comune collettivo su base privata e non disponibile all'ampio pubblico, le cui attività sono gestite da una società professionale di gestione degli investimenti". Tale veicolo diventa però più intelligibile se considerato come una società d'investimento imprenditoriale che opera senza essere soggetta a eccessive restrizioni.
Le strategie d'investimento differiscono notevolmente a seconda degli hedge fund, sebbene possano essere suddivise in alcune macrocategorie. A oggi gli hedge fund sono stati sotto¬posti a una regolamentazione blanda (se non nulla), nonostante tale situazione privilegiata sia in realtà in costante evoluzione.
L'elemento che accomuna tutti gli hedge fund è rappresentato dalla struttura remunerativa eccezionalmente favorevole per i gestori, soprattutto in caso di buona performance del fondo. Vi sono tuttavia altre tre caratteristiche comuni: l'investimen¬to di una parte sostanziale del proprio patrimonio nel fondo; la capacità di avere posizioni corte nei portafogli d'investimento; la segretezza e la confidenzialità relative alle posizioni d'investimento sottostanti. Inoltre, gli hedge fund si contraddistinguono per il fatto di essere gestiti allo scopo di generare ritorni assoluti positivi e non di battere o raggiungere un indice di mercato azionario o obbligazionario. L'illiquidità degli investimenti sottostanti implica inoltre che molte strategie degli hedge fund non risultano adatte agli investitori a breve termine.

Per gli hedge fund, l'imperativo è la semplicità

Il decennio 1996/2006 è stato caratterizzato da un'esplosione di capitali gestiti dagli hedge fund. A gestire il patrimonio di alcuni fra i più intraprendenti investitori privati e degli stessi gestori di hedge fund all'inizio degli anni '90 c'erano i fringe investment vehicle (veicoli d'investimento accessori). Da allora si sono diffusi sempre più tra fondazioni, fondi pensione di nuova generazione e compagnie assicurative. Nel 2006 gli hedge fund sono arrivati a gestire direttamente oltre 1.000 miliardi di dollari. Negli ultimi 15 anni, una lunga serie di talenti provenienti dai desk di proprietary trading delle banche d'investimento nonché dai money manager più blasonati si sono uniti per costituire hedge fund. Ogni banca d'investimento e, di fatto, ogni money manager, ha subito le con-seguenze dirette di questo esodo di personale altamente qualificato; nello stesso periodo gli hedge fund sono diventati gli attori principali in un processo globale di trasferimento dell'assunzione di rischio dal settore bancario a quello degli investitori. Esaminiamo questo fenomeno moderno e le modalità in cui le diverse strategie degli hedge fund possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di un investitore.

venerdì 7 gennaio 2011

Quanto è facile prevedere il cambio?

Le Banche centrali, che dovrebbero essere ben informate sulla natura dei mercati valutari, ammettono certe volte di non sa¬pere come prevedere i tassi di cambio. A posteriori è facile rendersi conto che un tasso di cambio particolare risultava "vincolato" in una determinata direzione. Molto più diffìcile è farlo a priori.
Uno dei pericoli maggiori cui potrebbe andare incontro un investitore è di fare scommesse non strutturate in valuta, che rischiano di degenerare inevitabilmente in una sorta di azzardo nel quale ci si gioca tutto e che azzera il senso di qualsiasi politica di assunzione di rischio che fino a quel momento aveva caratterizzato la strategia d'investimento. Il motivo risiede nel fatto che la valuta estera rappresenta una fonte di significativa volatilità senza alcuna ricompensa attesa. Ciò nondimeno, gestito adeguatamente, il rischio di cambio può svolgere un ruolo fondamentale in qualsiasi strategia in cui un investitore si avvalga di un team di consulenti dotato di capacità di giudizio e di esperienza storica (track record) e il cui processo di gestione del rischio rassicuri l'investitore del fatto che l'eventualità di dowmide quando le cose non vanno nel verso giusto (cosa peraltro inevitabile di tanto in tanto) sia del tutto accettabile.

La copertura

A volte, come nel caso degli investimenti in azioni internazionali, le decisioni di copertura sono finemente equilibrate. Spesso però la regola empirica più adeguata è che certi tipi di investimenti internazionali non dovrebbero essere perseguiti, a meno che non siano coperti. Gli esempi di investimento ovvi sono quelli in obbligazioni straniere. Inoltre, le strategie di hedge fund dovrebbero nella maggior parte dei casi essere gestite oppure coperte a seconda della valuta base dell'investitore. Questo perché l'esposizione delle obbligazioni e degli hedge fund a un rischio valutario non gestito trasforma i modelli di performance attesi dall'investimento, minando di conseguenza il ruolo che l'investimento dovrebbe svolgere nella strategia complessiva. Qualora un investitore de¬siderasse operare sul mercato obbligazionario estero e nella valuta corrispondente, dovrà porsi una domanda critica: "Perché optare per una copertura?". La risposta è che poiché la volatilità valutaria contribuirà molto di più al rischio di perdita di denaro rispetto alla volatilità del mercato obbligazionario, la posizione dovrà essere considerata come valuta straniera e non come impiego obbligazionario.

Quanto costa la copertura?

Sono tre i costi ai quali si va incontro in caso di copertura valutaria.
  • Costi di transazione. I mercati valutati sono fra i più liquidi al mondo e i costi operativi di attivazione di una copertura e del suo rinnovo sono limitati pari a pochi punti percentuali ogni anno. Tuttavia, è fondamentale verificare se vi sono costi operativi supplementari che con il passare del tempo potrebbero ridurre sostanzialmente l'appetibilità della copertura. Nel caso di valute soggette a crisi di liquidità occasionali, lo spread applicato dai mercati di cambio fra acquisti e vendite a termine che dovrebbe rispecchiare le differenze nei tassi di interesse a breve può incidere notevolmente nei momenti di crisi di mercato.Questo farà salire drasticamente il costo di copertura in quelle valute. Per tale ragione, un investitore non dovrebbe, in condizioni normali, coprire investimenti denominati in valute che, in tempi di crisi, potrebbero diventare illiquidi. Tuttavia gli euro-investitori che investano in titoli di debito dei mercati emergenti denominati in dollari potrebbero considerare la posizione come un'esposizione in dollari statunitensi che necessita di una controcopertura nei confronti dell'euro.
  • Costi dei flussi di cassa. Alla copertura valutaria si associano regolari flussi di cassa. Questi rappresentano utili e perdite valutati sulla copertura da compensare, idealmente con una copertura perfetta, con perdite e utili sull'investimento coperto. In un conto di investimento, gli utili e le perdite della copertura saranno decisamente evidenti, mentre quelli sugli investimenti esteri saranno meno visibili. Laddove l'investimento risulti illiquido ad esempio, nel caso in cui un investitore statunitense copra un investimento di private equity europeo in dollari e nel caso in cui il dollaro statunitense subisca una svalutazione rispetto all'euro la portata della svalutazione sarà percepita come uscita di cassa associata alla copertura, man mano che si svaluta il dollaro. La copertura valutaria è particolarmente adatta a investimenti altamente liquidi, quali titoli di stato. I flussi di cassa associati alla copertura possono risultare tanto delicati, nel caso degli investimenti illiquidi, quanto dolorosi.
  • Costi opportunità. Questo genere di costi è strettamente correlato al rischio del rimpianto, ovvero al rischio che la decisione di coprire un investimento internazionale sia oggetto di recriminazioni a causa di successive oscillazioni valutarie che avrebbero potuto renderlo più redditizio se non avesse avuto alcuna copertura. In questo caso il conto dell'investitore mostrerà l'impatto del flusso di cassa della copertura, portando ad affermazioni del tipo "questa copertura mi è costata...". Quando dicono così, gli investitori dovrebbero riflettere sulle motivazioni che li hanno indotti a effettuare la copertura dell'investimento.

mercoledì 5 gennaio 2011

Che cosa si ottiene con la copertura?

La copertura valutaria è uno strumento interessante in quanto permette di gestire il rischio valutario e, in molti casi, anche di ridurre la volatilità degli investimenti internazionali. Lo stesso andamento di riduzione della volatilità è evidente nel caso di copertura di obbligazioni investment grade di altis¬sima qualità provenienti da qualsiasi mercato e in qualsiasi periodo, laddove vi siano mercati valutati liquidi a termine. Nel caso degli investimenti a volatilità moderata, quali fondi obbligazionari ben diversificati e ad alto rendimento o molte strategie di hedge fund, le argomentazioni a favore della co¬pertura del rischio valutario restano comunque notevoli. Nel caso dei mercati più volatili, come quelli azionari, la copertu¬ra valutaria altera il profilo dei rendimenti da investimento, ma ha un effetto di gran lunga più modesto sulla volatilità.

Obbigazioni internazionali e copertura valutaria

Per tutti gli investitori, i titoli di stato esteri rappresentano un modo per diversificare il rischio della curva di rendimento e per cercare eventuali opportunità finalizzate ad aggiungere va¬lore oltre il benchmark dei titoli di stato nazionali. Tali opportunità comportano la presenza di valute estere, fattore che però non dovrebbe costituire un problema se il rischio valuta¬rio è gestito adeguatamente. In caso contrario, a prescindere dalla logica che sottende un determinato investimento, questa potrebbe essere sopraffatta dalle oscillazioni valutarie. Il rischio valutario è gestibile, ma è consistente: se gestito in modo sbagliato potrebbe portare a perdite (o utili) pari o superiori al 20% in 12 mesi. La copertura valutaria rappresenta la modalità per gestirlo negli investimenti internazionali. Il modo più intuitivo per capire la copertura valutaria è ricordare che è equivalente all'allocazione di liquidità in deposito nella valuta nazionale dell'investitore (ad esempio, in dollari statunitensi) e all'assunzione di un prestito dell'importo equivalente in valuta estera (ad esempio in euro) per finanziare un investimento estero. Così facendo, le oscillazioni nel tasso di cambio saranno annullate, esercitando un effetto uguale e contrario sull'investimento estero e sul debito estero. Il rendi-mento dell'investimento sarà corrispondente alla performance dell'investimento estero in valuta, più il tasso d'interesse sul dollaro (il deposito in valuta nazionale), meno il tasso d'interesse sull'euro (il debito in valuta estera). Il modo più convenzionale per descrivere tale fenomeno è che il rischio di valuta estera può essere neutralizzato attraverso la copertura del cambio, ove un investitore stabilisca di vendere valuta estera a termine (ovvero forward) al tasso di cambio. Il contratto forward rifletterà le differenze nei tassi d'interesse fra i due paesi interessati. Di norma tali contratti hanno una durata di uno o tre mesi e vengono poi rinnovati nel tempo e adeguati al fine di rispecchiare qualsiasi cambiamento valutario dell'investimento sottostante per garantire che lo stesso e qualsiasi eventuale rivalutazione (o svalutazione) del capitale siano interamente coperti.

Titoli garantiti e coltateralised debt obligations

II modo in cui si eseguono le operazioni è semplice. Un pool di attività (come un portafoglio di finanziamenti bancari a favore di società) viene trasferito dal bilancio della banca a uno specialpurpose vehicle (SPV).
Le passività dello SPV sono rappresentate da franche diverse, con priorità differenti sui flussi di cassa ricevuti dal pool di debitori corporate. Lo SPV indica a una delle principali agen¬zie di assegnare un rating del credito a ciascuna tranche. Quella con il rating più elevato, che sarà quasi sicuramente di tipo AAA, avrà priorità assoluta sul flusso di cassa. In ogni periodo di pagamento, cioè quando sono stati rispettati gli obblighi rispetto alla tranche senior di tipo AAA, i pagamenti passano gradualmente alle tranche mezzanine e in seguito a quelle junior. La equity tranche più rischiosa incassa i pagamenti residui una volta incassati i diritti dalle altre tranche (nonostante il nome, la equity tranche di una CDO rappresenta un titolo di debito ad alto rischio, non azioni ordinarie). Se i prestiti sottostanti fruttano un interesse annuo dell'8%, le commissioni di gestione ammontano all'1 % del finanziamento totale, il tasso d'interesse a breve termine (London Interbank Offered Rate o LIBOR) è pari al 4,5% e non vi sono inadempienze o altre interruzioni di pagamento, il rendimento della cosiddetta equity franche sarebbe pari allo 25,7% annuo. Va tuttavia evidenziato che una contrazione media delle entrate contrattuali provenienti dai finanziamenti bancari superiore al 2,6% annuo determinerebbe un rendimento negativo della equity franche.
Queste CDO possono essere altresì CBO (collateralised bond obligatiorì) o CLO (collateralised loan obligation), a seconda del tipo di garanzia reale utilizzata. Il veicolo corrispondente per
0 mutui residenziali negli Stati Uniti, una collateralised mort-gage obligation (CMO) residenziale, darebbe un'esposizione al rischio di rimborso anticipato; non sarebbe così nel caso in cui il mutuo fosse emesso da un'agenzia federale statunitense al rischio di credito del proprietario fondiario sottostante. Uno sviluppo parallelo è rappresentato dall'evoluzione del
mercato dei derivati di credito che permette alle controparti di comprare e vendere esposizioni a rischi di credito particolari e portafogli o indici di rischi di credito. Si tratta di un vantaggio considerevole per una banca che ad esempio intenda gestire il rischio di credito per un soggetto specifico o per un qualsiasi investitore (quale un hedge fund) che desideri ottenere una posizione d'investimento lunga o corta su un rischio di credito specifico.
I derivati di credito generici pertinenti sono di tre tipi.
  • Credit default swap (CDS). Nel caso di un CDS, la controparte che intende ottenere la protezione corrisponde un premio regolare. In caso di inadempienza o default (laddove la tipologia di inadempienza risulta essenziale), la controparte (l'assicuratore) corrisponde l'importo concordato (ad esempio compensando il valore del credito assicurato).
  • Total return (TR.) swap. Nel caso di un tota/ return swap, una controparte versa i profìtti di un investimento specifico e l'altra effettua un versamento del tasso d'interesse di riferimento quale il LIBOR.
  • Credit option. Una credit option non è altro che un'opzione. V. option buyer corrisponde un premio fìsso all'affiori setter e, in cambio, il buyer ha il diritto di acquistare (nel caso di una cali option) dal venditore, o il diritto di vendere (nel caso di una put option) il credito specificato a un prezzo di esercizio previamente concordato.
Negli ultimi anni i derivati di credito sono cresciuti notevolmente. Un punto di svolta, che ha facilitato lo sviluppo di un mercato liquido, è stato l'accordo raggiunto nel 1999 sulla documentazione standardizzata per le operazioni: si stima che il mercato abbia raggiunto quota 4.500 miliardi di dollari intorno alla metà del 2004.
Poi nel giro di poco tempo si è innovato ulteriormente. Da questi derivati sono nati i CDO sintetici, che sono stati resi disponibili sugli indici di mercato nonché sui singoli emittenti. I CDO sintetici presentano le stesse caratteristiche (come quella di essere emessi a trancile senior con rating AAA e una equity [ranche residua) delle CDO tradizionali aventi uno SPV che detiene le attività sottostanti. Le CDO sintetiche non possiedono però tìsicamente le attività sottostanti, mentre ottengono la propria esposizione mediante i derivati, che vengono distribuiti in franche delle CDO sintetiche.

martedì 4 gennaio 2011

Metodi moderni per investire nei mercati obbligazionari

Verso la metà degli anni '80, il mercato dei mutui pass-through portò allo sviluppo della collateralised mortgage obligarìon (CMO - obbligazione garantita da un portafoglio di mutui ipotecari). La CMO prevede il pagamento attingendo a un portafoglio di mutui ipotecari da suddividersi in una serie di tranche esposte a diversi elementi del rischio di rimborso anticipato del mutuo. Tali sviluppi nel mercato dei mutui USA
portarono a una trasformazione della natura dei portafogli degli investitori in obbligazioni denominate in dollari statunitensi. Attualmente i mutui rappresentano, quasi di routine, una parte sostanziale di tali investimenti. Al tempo stesso, l'introduzione dei titoli ipotecari con un rischio di rimborso anticipalo ha aumentato la complessità dei portafogli di investimento, fornendo un modello per innovazioni parallele in altri settori.
Titoli garantiti e coltateralised debt obligations
Le innovazioni introdotte negli anni '80 nel mercato dei mutui portarono a ulteriori cambiamenti che si manifestarono all'inizio degli anni '90 nell'acquisto/vendita e nella cartolarizzazione di una serie di attività finanziarie, dai prestiti su carte di credito alle locazioni di aeromobili, ai finanziamenti bancari concessi a società e governi dei mercati emergenti. Si trattò di un significativo passo in avanti rispetto ai precedenti, faticosi tentativi di comprare, vendere e assegnare finanziamenti bancari. Con asset-backedsecurìties (ABS), o titoli garantiti, si definiscono i finanziamenti garantiti diversi dai mutui a fini residenziali. Sulla base degli sviluppi registrati, si evince che il mercato dei mutui è cresciuto rapidamente dagli anni '90. Tali sviluppi hanno, infatti, trasformato la gestione del rischio per le banche, fornendo al tempo stesso nuovi strumenti agli investitori. Una spinta considerevole l'hanno data le direttive in termini di regolamentazione sull'adeguatezza del capitale bancario e, per alcuni investitori, sulla qualità del credito delle attività che potrebbero detenere. In ogni caso, l'evoluzione di questi mercati fornisce una ricca fonte di attività redditizie per le banche d'investimento.

Cartolarizzazioni per investire nei mercati obbligazionari

Le innovazioni che hanno segnato i mercati finanziari degli ultimi 25 anni hanno letteralmente trasformato la capacità delle banche di gestire le proprie esposizioni di credito, fattore che ha portato a profondi cambiamenti nella composizione dei portafogli obbligazionari degli investitori, lale processo ha subito una forte accelerazione dalla metà degli anni '90, mettendo le banche in condizione di distinguere le proprie decisioni in materia di concessione di prestiti da quelle inerenti alla necessità di gestire i rischi relativi ai propri bilanci. Questo appare possibile grazie agli accordi standardizzati in essere, mediante i quali riescono a scaricare le proprie esposizioni di rischio sia verso altre banche sia verso investitori a lungo termine, che potrebbero trovarsi in una posizione migliore per sostenerli. Tale processo è noto come cartolarizzazione, ovvero il processo che interviene nel momento in cui un credito bancario viene trasformato in uno strumento negoziabile.

Titoli garantiti da ipoteca
Questo processo è stato avviato e sviluppato negli Stati Uniti. L'innovazione chiave arrivò nel 1970 con l'introduzione di un titolo garantito da ipoteca emesso dalla Government National Mortgage Association (Ginnie Mae), i cui versamenti in contanti agli investitori rappresentarono un vero e proprio passaggio (pass-through) diretto dei flussi di cassa dei mutui per la casa sottostanti. Prima di allora, le obbligazioni garantite da ipoteca rappresentavano dei crediti verso la banca emittente, con un ulteriore diritto sui mutui sottostanti in caso di inadempienza della banca.
La principale caratteristica di investimento delle obbligazioni cosiddette pass-through è che espongono l'investitore al rischio di rimborso anticipato, essendo i titolari di mutui per la casa negli Stati Uniti autorizzati a rimborsare anticipatamente i mutui a tasso fisso senza essere generalmente soggetti ad alcuna penale. Il rischio di rimborso anticipato rappresenta il principale elemento di differenziazione rispetto agli investimenti in obbligazioni ipotecarie. Il rimborso anticipato può essere ascrivibile a numerose ragioni, alcune delle quali, come il trasloco, dipendono dallo stato dell'economia. Tuttavia il motore principale è dato dall'opportunità di procedere al rifinanziamento a tassi d'interesse minori e di ridurre la rata mensile, dopo aver accettato le spese previste. Ne deriva che il rischio di rimborso anticipato è direttamente correlato ai cambiamenti nel livello dei tassi d'interesse. Un'altra caratteristica del mercato dei mutui residenziali statunitensi è che gli obblighi in termini di versamento degli interessi e del capitale dei titoli pass-through emessi da tre agenzie di mutui finanziate a livello federale sono garantiti dalle agenzie stesse.

Rischio di credito

Negli anni precedenti il 2006, l'andamento del mercato si basava fortemente sulla compressione degli spread e sull'aspettativa che tale processo fosse in corso. La storia rivelerà in che misura l'andamento sia esente da eventuali inversioni di tendenza. Tuttavia, il pericolo di battute d'arresto lascia esposti i titoli di debito dei mercati emergenti al rischio di una performance occasionalmente molto negativa, da sempre riconosciuta come caratteristica intrinseca della piazza. Ciò rispecchia l'esposizione del mercato al rischio politico o "paese" nonché ai rischi di cambio propri dei mercati emergenti che hanno ottenuto finanziamenti in dollari statunitensi, impiegati spesso per finanziare attività rischiose in valuta locale. Non sorprende che gli emergenti abbiano sofferto più dei contagi di mercato rispetto ai corporate bond statunitensi ad alto rendimento.
Fra fine 1993 e dicembre 2005, vi furono tre mesi in cui l'indice dei titoli di debito dei mercati emergenti fece registrare rendimenti negativi di oltre 10 punti percentuali, mentre la performance mensile peggiore per il mercato ad alto rendimento fu caratterizzata da una flessione del 7,4%. I calcoli statistici standard sui rendimenti estremi mostrano che i titoli di debito dei mercati emergenti sono decisamente più volatili e che sono stati più propensi a subire gli effetti di shock improvvisi rispetto al mercato dei titoli di debito corporate ad alto rendimento.

lunedì 3 gennaio 2011

Titoli di stato statunitensi e obbligazioni comporate

Gli spread indicati rappresentano le inedie del periodo che va da gennaio 1987 a dicembre 2005: verso la fine gli spread si sono attestati a livelli di gran lunga più bassi rispetto a quelli indicati. Tale aspetto, che mette in evidenza i rischi associati agli investimenti speculativi di bassa qualità (con rating CCC), indicando, altresì, che un ampio campione del mercato speculativo statunitense ha registrato mediamente un andamento positivo simile a quello dei titoli investment grade (seppur a un ritmo più volatile). La maggior parte delle analisi sul rischio di credito si concentra sulla portata dei cambiamenti nell'affidabilità creditizia o nel rating del credito. Ci sono valide ragioni per credere che i rating del credito formali, almeno sulle obbligazioni, siano più stabili di quanto non garantirebbero le condizioni delle attività sottostanti. In parte questo è dovuto al fatto che per gli investitori è preferibile che le agenzie evitino il rischio di inversione a breve termine del rating ad esempio nel passaggio dall'investment grade allo speculative grade e poi di nuovo all’investment grade. Questa preferenza può far sì che le agenzie ritardino l'annuncio di un cambio di rating finché non sono certe che è difficile che la tendenza si inverta nuovamente in tempi brevi.
Una caratteristica semplice, ma importante da menzionare, è che uno strumento di debito dotato di rating del tipo AAA non ha nessuna possibilità di migliorarlo; in altre parole, non può che conservarlo o peggiorarlo. Per contro, gli strumenti di debito a basso rating possono migliorare o peggiorare. Ne deriva che quelli ad alto rating dovrebbero offrire uno spread sui titoli di stato tanto più alto quanto maggiore è la scadenza, essendovi una maggiore probabilità che il loro rating diminuisca.
Il modo in cui il tempo mancante alla scadenza aumenta il pericolo di un evento di credito negativo, aggiunge un elemento di rischio importante a un approccio d'investimento di tipo buy-and-holdper le obbligazioni corporate di lunga durata, un rischio particolarmente preoccupante nel caso in cui sia stato predisposto un portafoglio di corporate bond scalettati (bond laddef) di lunga durata per il reddito previdenziale. Per gli investitori a lungo termine è essenziale comprendere tale aspetto e il grado di sicurezza correlato a un rating favorevole. In un articolo pubblicato dal Wall Street Journal Europe nel 2005, dal titolo "AAA is a vanishing breed" ("AAA è una razza in via di estinzione"), si ricordava ai lettori che General Motors, Ford e AIG appartenevano alla classe di rating più alta in assoluto.

Le classi di rating a lungo termine delle principali agenzie

Le classificazioni di rating a lungo termine impiegate dalle tre principali agenzie del settore: Pitch, Moody's e Standard & Poor's. Un importante punto di rottura è quello fra i titoli investment grade e quelli speculative (o non-investment) grade, laddove questi ultimi sono comunemente definiti come titoli speculativi o junk. Lo scopo del rating è fornire una valutazione oggettiva sull'affidabilità creditizia dei debitori; inoltre il rating si riflette negli spread che gli stessi debitori sono tenuti a versare per compensare i creditori del rischio di inadempienza (o per l'eventuale deterioramento del rating del credito). Facendo riferimento ai dati Pitch per il periodo 1990/2004, la tabella riporta anche i default rate medi per periodi fino a cinque anni relativamente alle obbligazioni corporate con rating del credito diverso. La tabella suggerisce ad esempio che le obbligazioni con rating AAA non sono mai finite in default, mentre le obbligazioni junk con rating CCC hanno registrato un rischio di default pari a circa il 25% nei 12 mesi seguenti e al 33% nei cinque anni successivi. Questi default rate rappresentano delle medie relative ai titoli di debito stimati da Pitch. 1 dati resi noti dalle agenzie di rating illustrano la natura ciclica dell incidenza di default delle obbligazioni ad alto rendimento.
In una recensione dedicata al mercato dei bond high-yield(ad alto rendimento), dal titolo As Good As It Gets, Pitch evidenzia che nel 2004 il default rate di questa categoria era sceso a quota 1,5% in termini di valore contro il 16,4% registrato nel 2002. Pitch sottolinea che anche gli importi dovuti sui defaulte bond, recuperati per i creditori, sono di natura ciclica, con una crescita del valore nominale dal 24% nel periodo 2001/02 al 42% nel 2003/04. Mentre nel 2005 le inadempienze sono rimaste su livelli insolitamente bassi. Il differenziale di rendimento rispetto ai titoli di stato, dovuto dalle società sulle loro obbligazioni, segue generalmente l'ordine delle valutazioni formali sul rating di credito, suggerendo che i mercati finanziari condividono ampiamente le valutazioni delle agenzie.

La qualità del credito e il ruolo delle agenzie di rating

Le prime agenzie di rating nascono all'inizio del XX secolo allo scopo di verifìcare l'affidabilità creditizia e rendere pubblici i rating dei titoli esaminati. In termini pratici, i due rischi ritenuti rilevanti sono il rischio di inadempienza (default) del debitore e quello di deterioramento nella verifica dell'affidabilità creditizia di un debitore che continua, nonostante tutto, ad adempiere ai propri obblighi contrattuali.
I rating delle principali agenzie vengono ampiamente utilizzati per definire la qualità minima del credito necessaria per poter far rientrare i titoli in portafogli specifici di molti investitori istituzionali (che sono tenuti a rispettare linee guida ad hoc in materia di qualità minima accettabile del credito per portafogli specifici, sebbene possano non esservi linee guida rigide sulla qualità del credito di tutti gli investimenti di un fondo). Inoltre, le direttive in materia di adeguatezza del capitale, applicabili alle banche internazionali, assegna¬no oggi anche un ruolo formale ai rating assegnati dalle principali agenzie. Tale sviluppo nella regolamentazione bancaria ha incoraggiato notevolmente il processo di cartolarizzazione dei crediti bancari, favorendo così il trasferimento delle esposizioni al rischio dalle banche agli investitori. Questo fenomeno ha a sua volta incoraggiato lo sviluppo di nuovi strumenti di credito e di nuovi mercati. Infatti, gli investitori privati e molti investitori istituzionali concedono in outsourcing l'analisi sul rischio di credito a queste agenzie di rating.

Diversificazione del portafoglio

Espressioni come "speculativo", "altamente speculativo" o "di bassa qualità", utilizzate dalle agenzie di rating per descrivere i titoli di debito di tipo non-investment o subinvestment grade, illustrano bene il rischio cui sono soggette le singole emissioni se trattate in modo isolato.
Per molto tempo gli investitori in titoli di debito corporate ben diversificati ritenevano che una buona performance (a bassa volatilità rispetto a quella delle singole obbligazioni di tipo speculative grade) potesse scaturire da un portafoglio ben diversificato di obbligazioni ad alto rendimento. Ciò significa che sarebbe sbagliato considerare un portafoglio di obbligazioni ad alto rendimento come se possedesse le medesime caratteristiche di rischio di una singola obbligazione di tipo sub-investmentgrade o di un cosiddetto junk bond.
Analogamente, il linguaggio forte utilizzato dalle agenzie di rating per descrivere il rischio di singole obbligazioni ad alto rendimento dovrebbe ricordare agli investitori che l'unico modo ragionevole per investire in questo rischio di credito è attraverso un portafoglio ben diversificato: il che per tutti gli investitori vuoi dire semplicemente avere un'esposizione diversificata su titoli di debito statunitensi o globali ad alto rendimento. Le banche d'investimento hanno sfruttato proprio questa differenza fra il rischio elevato di un titolo ad alto rendimento e il basso rischio di un portafoglio titoli ad alto rendimento, applicando misure di ingegneria finanziaria finaliz¬zate a creare porzioni, ovvero franche, con un rating del credito più alto fra i portafogli dei titoli di debito ad alto rendimento (di cui parleremo nel paragrafo dedicato alle CDO, ovvero collatemlised debt obligations).
I titoli di debito emessi da sovereign o corporate borrower (emittenti sovrani o societari) dei mercati emergenti offrono una fonte alternativa di rischio basato sul debito. Questa tipologia di titoli di debito è comunemente denominata in dollari statunitensi e ha registrato andamenti positivi negli anni successivi alla crisi di liquidità dell'agosto 1998. In quel mese, l'indice JP Morgan Emerging-Market Debt segnò una flessione del 29%, rivelando così informazioni importanti sul rischio di contagio non diversificabile nel mercato del debito dei paesi emergenti. Un rischio che potrebbe ridursi con il passare del tempo, man mano che i mercati emergenti provvedono all'estinzione del proprio debito, all'accumulo di riserve di cambio, all'acquisizione di rating del credito di tipo investment grade e man mano che iniziano ad avvicinarsi al gruppo dei mercati finanziari dei paesi industrializzati.

domenica 2 gennaio 2011

Le obbligazioni

L’analisi delle obbligazioni moderne può sfociare, prima ^ ancora che uno se ne accorga, in qualcosa di spiacevolmente complicato. Onde evitare che questo accada, si potrebbe fare affidamento su un'importante recensione scritta da John Maynard Keynes e pubblicata nel 1925, relativa a uno studio comparativo sui rendimenti a lungo termine di azioni e obbligazioni statunitensi fra il 1866 e il 1922. Da quello studio emerse una netta sovraperformance delle azioni rispetto alle obbligazioni, nei periodi sia di deflazione che di inflazione. Un fenomeno del tutto inatteso per Keynes, il quale si aspettava, invece, che dalla deflazione potessero trarre vantaggio le obbligazioni piuttosto che le azioni. A spiegazione di quest'eccezione, Keynes fornì tutta una serie di possibili ragioni sottostanti all'andamento debole delle obbligazioni. Vediamole.
  • La minaccia asimmetrica dei cambiamenti nel livello generale dei prezzi. Mentre le obbligazioni vengono erose illimitatamente dall'inflazione, il margine di riduzione del livello generale dei prezzi appare più contenuto (fattore che va a vantaggio dei detentori di obbligazioni, finché gli emittenti dispongono della capacità necessaria per rimborsare questi valori reali più elevati).
  • Sebbene un bond possa finire in default, nessuna obbligazione frutterà mai più del tasso d'interesse stipulato.
  • 11 management aziendale appoggia sempre gli investitori azionati e meno gli obbligazionisti; inoltre "il management si avvarrà della sua facoltà di rimborsare le obbligazioni alle date più convenienti per gli azionisti e più sfavorevoli per gli obbligazionisti".
  • Gli utili non ripartiti offrono un elemento di crescita combinata che va oltre il dividentiyield (rendimento cedolare) maturato a vantaggio dell'azionista (rendendo così gli impegni esistenti verso i creditori più sicuri).
Questo tipo di ragionamento, supportato ormai da un numero crescente di dati, soggiace al messaggio lanciato da consulenti e accademici, secondo i quali l'habitat naturale per i veri investitori a lungo termine sarebbe quello del mercato azionario. Oppure, nelle parole di un noto investitore azionario di successo: "II ruolo naturale degli investitori è quello di essere proprietari". Tuttavia, pressoché tutti gli investitori puntano, e dovrebbero puntare, sulla diversificazione del rischio azionario. Nella primo volume della collana, la prospettiva presentata riguardava l'investimento in titoli di stato. Il presente capitolo fa invece da sfondo ad altri strumenti di credito che introducono nuovi aspetti di rischio in cambio della prospettiva di nuove fonti di excessperformance (performance in eccesso). Un elemento importante in questo senso è rappresentato dal trade-off(compromesso) fra qualità del credito e performance.

Azioni internazionali e rischio di liquidità

Nell'ambito degli investimenti internazionali è facile che gli investitori si facciano coinvolgere dal tema borsistico più scottante del momento. Ciò che però è veramente "scottante" spesso è anche potenzialmente illiquido: facile entrarci, per così dire, ma diffìcile uscirne.
In passato gli investimenti azionati nei mercati emergenti sono stati venduti con la prospettiva di maggiori rendimenti attesi e di una diversificazione rispetto ai mercati azionar! maturi. I recenti aumenti nella correlazione fra le azioni dei mercati emergenti e di quelli maturi hanno influenzato l'andamento della diversificazione.
La performance dei titoli azionati dei mercati emergenti nei mesi di maggior debolezza del mercato azionario statunitense. Come prevedibile, nei mesi di crisi le azioni dei mercati emergenti registrano un andamento particolarmente debole. Pertanto, qualora un investitore dovesse decidere di investire in quei mercati, cosa peraltro del tutto auspicabile, è meglio che lo faccia solo se è sicuro di avere a che fare con una previsione convincente dell'andamento, poiché potrebbero non esserci possibilità di diversificazione nel momento in cui ne avrà bisogno.

Le azioni internazionali le si deve coprire o no?

Chiaramente il fenomeno poco ha a che vedere con la scelta dell' investment manager, mentre si lega piuttosto dalla decisione presa in materia di esposizione valutaria. Ciò nondimeno, laddove un investitore decida di esporsi al rischio del rimpianto (regret risk), staccandosi dalla massa degli investitori, la copertura rappresenterebbe un punto di partenza essenziale per la maggior parte degli investitori pronti a effettuare investimenti sui mercati internazionali. In questo caso la copertura offre un maggior grado di libertà nella gestione degli investimenti, permettendo all'investitore di cambiare opinione e di coprire interamente, o solo parzialmente, i portafogli azionari internazionali.
Visto dalla prospettiva del rischio, questo sistema potrebbe rivelarsi efficiente per effettuare una previsione a medio termine sulle future oscillazioni valutarie. Questo perché la copertura valutaria non comporta grandi differenze in termini di volatilità e rischio di perdita degli investimenti azionari internazionali, anche se può avere un effetto importante, sia in senso positivo che negativo, sulla loro performance. Anche la copertura dovrebbe avere un impatto conseguentemente incisivo sulla performance per gli investitori che di norma non coprono i propri investimenti azionati internazionali.
E quindi probabile che gli investitori siano soggetti a forti sbalzi d'umore, che oscillano dall'euforia, quando sono convinti di essere abili nell'interpretare i mercati valutati, allo sconforto, quando si lamentano di essere sfortunati. E proprio qui che l'intervento di un currency overlay manager potrebbe rivelarsi utile per implementare le posizioni valutarie nell'ambito di una strategia d'investimento già esistente. Anche se il rischio del rimpianto, in caso di errata valutazione delle fluttuazioni valutarie da parte del gestore, resta chiaramente alto.

sabato 1 gennaio 2011

Coprire o non coprire le azioni internazionali?

L'investimento internazionale comporta una serie di rischi valutari. Ma anche investire in società nazionali con operazioni internazionali implica dei rischi valutali, sebbene la misura in
cui questi sono compensati dalla gestione del rischio di cam¬bio aziendale resti sempre alquanto oscura. Sussiste una netta differenza fra l'effetto esercitato dal rischio valutario sui portafogli azionari e su quelli obbligazionari internazionali: le oscillazioni di cambio trasformano e amplificano il rischio di mercato obbligazionario; il rischio valutario modifica il profilo di timing, senza toccare di solito la portata del rischio di mercato azionario internazionale. La portata del rischio azionario viene modificata ben poco dal rischio valutario, mentre il rischio del mercato obbligazionario subisce sempre conseguenze dirette. Se l'investitore statunitense fosse tornato a proteggere quelle performance dell'indice internazionale al dollaro, vi sarebbe stata una riduzione solo insignificante della volatilità azionaria e una sostanziale della volatilità delle obbligazioni in euro. ria e una sostanziale della volatilità delle obbligazioni in euro.
In condizioni normali, gli investitori si aspetterebbero che la copertura delle partecipazioni azionarie internazionali riduca leggermente la volatilità delle azioni estere, mentre la copertu-ra dei portafogli obbligazionari esteri riduca drammaticamente la volatilità delle stesse obbligazioni. La prassi richiede dunque di lasciare le azioni internazionali senza copertura e di coprire invece le obbligazioni internazionali. Complessivamente, tuttavia, garantire una copertura delle azioni internazionali ha senso perché riduce leggermente la volatilità. Questa linea di argomentazione è però valida solo se i costi operativi della copertura valutaria sono esigui. Questo dovrebbe accadere per la copertura delle principali valute, mentre non sarebbe il caso per le valute dei mercati emergenti, dove i costi sono a dir poco proibitivi durante i periodi di forte sollecitazione dei mercati. Indipendentemente dalla copertura, resta il fatto che le azioni globali sono pur sempre una classe di attività volatile . La decisione di coprire o meno i portafogli di azioni internazionali può alterare considerevolmente l'eventuale ritorno di una strategia d'investimento, a seconda delle oscillazioni valutarie.

Diversificare ecco il segreto del lavoro in borsa

Per tutti gli altri investitori, si dovrebbe invece considerare il modo in cui le azioni sono correlate ai titoli di stato e agli altri investimenti che possono essere detenuti). È questo l'approccio seguito in questo capitolo.
Lo stesso metro viene impiegato come guida per gli utili attesi da investimenti internazionali, essendo l'ipotesi prudente (e coerente) basata sul fatto che agli investimenti azionati inter-nazionali e nazionali si applichi lo stesso tasso di rendimento atteso. Chiaramente il risultato non sarà lo stesso (salvo per una pura casualità), ma al momento della determinazione del¬le allocazioni strategiche, la cosa più sicura da supporre è che non possiamo prevedere quale mercato azionario sia più propenso a registrare l'andamento migliore. In pratica, in un esercizio di pianificazione delle attività i dadi vengono lanciati a favore dei mercati emergenti, ipotizzando che siano in grado di garantire un tasso di rendimento più alto di quelli industrializzati. Questo sarebbe giustificato se garantissero un'esposizione al rischio sistematico a più "alta percentuale di ottani", per così dire, rispetto a quanto previsto dai titoli azionati nei mercati maturi. Il semplice fatto che siano più volatili, fattore che rispecchia la loro minore diversificazione, non è però una ragione sufficiente per giustificare tale ipotesi, né lo è l'aspettativa che le loro economie debbano crescere più rapidamente. Questo, infatti, dovrebbe già essere scontato nei corsi azionari.
Ciò non prende in considerazione la questione dell'eventuale applicazione di imposte o costi di gestione aggiuntivi per l'investimento azionario internazionale, che non gravano invece sugli investitori nazionali. Se questi costi sono cospicui è ovvio che dovrebbero essere presi in considerazione in fase di determinazione delle allocazioni internazionali. Nella pagine che seguono viene ignorata questa preoccupazione sulle commissioni e le imposte incrementali, per concentrarsi maggiormente sulla volatilità come indicatore del rischio.
Ripetendo l'esercizio per periodi diversi, il risultato che ne deriva dimostra che il mercato azionario statunitense offre agli investitori USA un livello di diversificazione azionario vicino a quello raggiunto dalla diversificazione globale. Altri mercati nazionali più piccoli non hanno messo a disposizione dei propri investitori possibilità di diversificazione paragonabili, salvo che in periodi particolari che non dovrebbero essere estrapolati in futuro.