martedì 18 gennaio 2011

Portafogli di private equity

Secondo un vecchio detto del private banking, si dovrebbero concentrare gli investimenti per diventare ricchi (correndo il rischio di perdere la camicia), ma una volta diventati ricchi si dovrebbe diversificare per conservare la ricchezza accumulata. Rispecchia esattamente il parallelismo tra portafogli safety-first e aspirazionali della finanza comportamentale, che abbiamo visto nel secondo capitolo del primo libro della collana. Il private equity si basa sullo sfruttamento di vantaggi informativi per identificare le abilità e le competenze imprendito-riali e non ha nulla a che fare con un atteggiamento conservatore sotto il profilo finanziario. Potrebbe essere una delle componenti di un approccio efficientemente diversificato, all'interno del quale però è chiaramente una componente di una strategia aspirazionale per accumulare ricchezza. Questo permette di giungere a una serie di conclusioni.
  • I fondi di fondi ben diversificati potrebbero eliminare, attraverso la diversificazione, preziosi elementi di vantaggio informativo.
  • In presenza di un'elevata leva finanziaria, la volatilità intrinseca potrebbe continuare a essere incredibilmente elevata nonostante un fondo di fondi ben diversificato.

Potrebbe essere corretto avere un'allocazione modesta in un numero esiguo di fondi (anche di un solo team), fin tanto che l'allocazione combinata fra private e public equity resta ragionevolmente bilanciata.
Un pericolo comune dell'investimento in private equity è di non riuscire a diversificare nel tempo. Una volta scelto ciò che si preferisce, è ragionevole mantenere nel tempo l'impegno assunto sul mercato, presumibilmente restando fedeli al gruppo (o ai gruppi) scelto. In caso contrario, i rischi prevalenti sul mercato in un dato momento (ad esempio una leva finanziaria alta o l'esposizione a particolari temi legati all'investimento in venture capitai) segneranno oltremodo l'esperienza dell'investitore in private equity.